Il discorso del re del Marocco Mohammed VI, che ha presentato ampi tratti della nuova costituzione per il paese nordafricano ha gettato un sasso nello stagno di una politica marocchina destinata secondo i più autorevoli commentatori ad essere sconvolta dalle correnti di rivolta della “primavera araba” di marca egiziana e tunisina. Il Re del Marocco ha cercato con questo estremo tentativo di governare questo processo di cambiamento epocale per il paese e che mette l’accento su temi davvero delicati negli equilibri di potere nordafricani. Dibattiti certamente aperti anche nell’europa mediterranea occidentale, come quello del multiculturalismo e della separazione dei poteri con cui però storicamente e culturalmente il nordafrica ha dovuto nei secoli confrontarsi in modo molto diverso rispetto all’europa. La crisi economica, pare invece davvero sullo sfondo, in un contesto geopolitico molto diverso e che può contare sulle grandi risorse naturali – e finanziarie – che paiono essere sopravvissute in larga parte alla malagestione finanziaria globale. “La democrazia è la nostra via maestra”, ha detto il re prima di snocciolare una serie di cambiamenti di prospettiva politica e della gestione della macchina del paese che sono davvero epocali per il Marocco. Se basti per evitare la deriva forcaiola della piazza questo è presto per dirlo, ma i cambiamenti messi sul piatto sono tanti e niente affatto di facciata, tanto che in Italia arriva il commento entusiasta dell’onorevole Pdl Souad Sbai, presidente dell’associazione donne marocchine che parla apertamente di “Pietra miliare” (e quindi di riferimento non solo per il modello di governo marocchino, ma anche per quei paesi in cui l’ondata dei movimenti di protesta ha portato al rovesciamento di governi, regimi e concezioni della gestione del potere). Un cambiamento che per Souad Sbai è da esportare nei paesi vicini: “oggi è modello inequivocabile di come davvero dovrebbe cambiare un paese arabo e dal quale molti dovrebbero prendere esempio. Anche in Marocco si manifesta in strada, è chiaro, ma qual è il paese dove non lo si fa? Una piazza ordinata e pacifica è sempre segno di democrazia. Questa è la vera primavera araba”.
Su un punto però, che in occidente è un caposaldo della democrazia, il re marocchino non fa alcun passo indietro: nella nuova costituzione, resta infatti “capo dei credenti e capo dello stato”, la sua persona sarà “inviolabile” (una sorta di immunità totale) e resterà a capo delle forze armate. Tuttavia ci sono alcune aperture alle minoranze religiose e culturali in un paese in cui in ogni caso convivono diverse etnie. Il Re del Marocco si fa infatti garante, in qualità di «capo dei credenti», della «libertà di culto religioso» nel Paese.
Tra i punti fondamentali di questo cambiamento di cui Mohammed VI si è reso artefice c’è anche quindi il riconoscimento delle minoranze, che però in prima battuta più che religiose (pensiamo ai cristiani) sono più che altro culturali. La lingua berbera è infatti promossa a lingua ufficiale dello stato, assieme a quella araba, anche se il riconoscimento pare piuttosto simbolico e dovuto perché il berbero è la lingua parlata dalla gran parte della popolazione. L’indipendenza del parlamento e dell’esecutivo dalla figura del monarca è un altro passo importante, come parimenti quello di una acquisita indipendenza della magistratura, perché alcuni articoli della riforma stabiliscono l’indipendenza del sistema giudiziario dal potere legislativo ed esecutivo.
Resta freddo però il movimento d’opposizione 20 febbraio, secondo cui il piano proposto da Mohammed VI non è una vera separazione dei poteri e non costituisce il passo decisivo verso una autentica costituzione democratica e una monarchia parlamentare. Nei prossimi giorni (domenica secondo quanto dichiarato da uno degli attivisti alla britannica BBC) sono previste manifestazioni pubbliche di dissenso che dovrebbero anche chiarire i punti in cui la riforma presentata dal monarca è troppo “debole” secondo il giudizio dei movimenti di piazza. Resta da notare che non è trapelata alcuna indiscrezione o notizia ufficiale sul fatto che il re resti a capo del potere religioso, segno che nelle comunità islamiche questo coincidere di poteri non è affatto sentito come un punto critico di una democrazia, contrariamente a quello che avviene in occidente.