Bashar al-Assad ha pronunciato il suo discorso in un’aula gremita dell’Università di Damasco, accolto da cori e applausi. È la terza volta che il rais parla alla nazione da quando, lo scorso 18 marzo, sono iniziate le rivolte. Sono passati tre mesi e il rais non cede di un passo e mantiene il pugno di ferro nei confronti di quello che definisce un “complotto”. La rivoluzione scoppiata in Siria è il frutto di una “cospirazione progettata all’estero e portata avanti nel nostro Paese”, ha detto. Secondo Assad, “un’esigua minoranza della società” opera nell’ombra sfruttando le richieste legittime della popolazione.



Il rais non parla delle circa 1300 persone che, secondo gli attivisti per i diritti umani, sarebbero state vittime della dura repressione militare. Non parla delle torture, delle violenze, dei soprusi che raccontano le migliaia di profughi fuggiti in Turchia. Nei campi tendati oltre confine ci sono già più di 10.500 persone, fuggite per paura di ritorsioni. Assad li ha invitati a tornare, sostenendo che l’esercito ha ristabilito la sicurezza. I profughi vengono per la maggior parte da Jisr al-Shugour, nel nord della Siria, dove lo scorso 12 giugno sono iniziate le violenze, dopo che la cittadina si è unita alle manifestazioni antiregime. Una vasta operazione militare contro “sabotatori dotati di armi moderne e strumentazioni sofisticate”, ha detto Assad. Secondo il regime di Damasco, nella cittadina al confine con la Turchia “terroristi” avrebbero ucciso 123 soldati governativi. Secondo gli attivisti per i diritti umani la storia sarebbe andata in modo diverso: i militari sarebbero stati uccisi dai loro stessi compagni perché si erano rifiutati di sparare sui manifestanti.



Nel discorso di Assad c’è ancora una volta il tentativo di dimostrarsi favorevole e pronto a fare concessioni e riforme: dall’Università di Damasco, ieri ha parlato di dialogo nazionale, di allargare la partecipazione politica a più partiti e di riforma costituzionale. “Nei prossimi giorni verrà creata una commissione che avrà il compito di studiare la costituzione. Avrà un mese di tempo”, ha detto il rais. A questo punto “se non ci saranno intoppi sarà fatta anche la riforma del parlamento”, ha continuato. Per il presidente siriano rimane comunque di primaria importanza riportare la legalità e la sicurezza nel Paese: Assad ha parlato anche di una possibile amnistia per gli arrestati e per le 64mila persone ancora ricercate dal regime.



Oltre a non convincere la popolazione siriana, le parole di Assad hanno lasciato insoddisfatta anche la comunità internazionale e in particolar modo l’Unione europea. Al termine del discorso del rais, alla periferia della capitale e nella città costiera di Latakia i manifestanti sono scesi in piazza per esprimere il proprio dissenso. Da parte sua l’Ue si prepara a rinforzare le sanzioni nei confronti del governo di Damasco se Assad non dovesse attuare le riforme promesse. Una commissione di esperti dei 27 Paesi membri potrebbe a breve presentare una nuovo pacchetto di misure restrittive.

A causa della crisi umanitaria, si complicano anche i rapporti tra Damasco e Ankara: per far fronte all’emergenza, la Mezzaluna Rossa turca ha aperto un corridoio di aiuti al confine tra i due Paesi. E, nei giorni scorsi, il premier Recep Tayyip Erdogan aveva condannato l’operato dell’“amico” Assad, accusandolo di aver compiuto atrocità sul suo popolo.

Qualcosa si muove anche all’interno dell’Onu. Il presidente russo Medvedev ha escluso la possibilità di appoggiare una risoluzione che promuova l’intervento in Siria. Dopo essersi astenuta dal voto di marzo che ha dato il via alle operazioni militari in Libia, la Russia ha accusato l’Onu di aver passato i limiti del mandato. “In Siria non accadrà la stessa cosa”, ha detto Medvedev. Stessa posizione condivisa dalla Cina.

La crisi siriana non preoccupa solo l’Occidente, anche il mondo arabo guarda con apprensione agli eventi del Paese, come conferma il segretario uscente della Lega Araba, Amr Moussa. E parla della necessità da parte dei Paesi arabi di assumere una “posizione compatta”.

La guerra ancora in corso in Libia certo non facilita una presa di posizione da parte della comunità internazionale. Soprattutto perché la situazione sta rivelandosi molto più complicata da risolvere di quello che si pensava prima dell’intervento. Certo è che, nonostante lo spauracchio libico, l’Occidente non potrà permettersi di stare a guardare ancora per molto.

 

(Sara Zolanetta, Equilibri.net)