Il recente discorso del re del Marocco, Mohammed VI, rappresenta una svolta storica. Ma non dobbiamo rimanerne così stupiti, visto che la via, già tracciata da tempo, ha messo radici solide nella visione dello stato e della società che il popolo marocchino ha ormai pienamente maturato. Insomma, i cittadini erano pronti per ciò che sarebbe stato comunicato loro dal Re, perché integrava solamente un modo di pensare ormai divenuto consuetudine. Gli articoli di questa fondamentale riforma altro non fanno, quindi, se non certificare una realtà di fatto già pienamente acquisita. Uguaglianza totale fra uomo e donna, libertà di professare il proprio credo, pienezza di diritti e lotta senza quartiere alle discriminazioni.



Un insieme di elementi così innovativi per il mondo arabo credo non si fosse mai visto e il particolare che mi piace sottolineare è l’operatività che soggiace a queste previsioni. Sì, perché quando si parla di lotta alle discriminazioni, subito dopo si fa riferimento ad una struttura operativa che si occuperà concretamente di portare avanti questa battaglia. È un Marocco straordinariamente diverso rispetto a tutto ciò che lo circonda, quello che emerge da questi articoli, tanto da far passare quasi in secondo piano la riforma politica e strutturale del paese in senso costituzionale, che già di per sé integra un cambiamento profondissimo.



Voglio ricordare che mentre attorno al Marocco infuriano guerre e repressioni di vario genere, sulle quali evito ogni commento per non sviare rispetto al tema, qui è il paese stesso ad avere in sé la rivoluzione, un vento stavolta fresco e nuovo, non stantio come quello che soffia in molti altri paesi, che ad un regime ne sostituiranno un altro.

È un guardarsi allo specchio e dirsi che il passo è stato fatto e ora non si torna più indietro: le piazze lo hanno dimostrato e anche quelle che manifestavano in disaccordo, testimoniano di un paese vivo in cui il non essere sulla stessa linea non significa necessariamente essere nemici. Ma solo avere voglia di pensare e di mettere in evidenza che tutto è migliorabile, perché frutto del pensare e dell’agire umano.



Un cenno significativo merita la certificazione storica delle anime del Marocco: africana, andalusa, ebraica, mediterranea. Quattro aggettivi per testimoniare un paese che sa bene quali siano le sue radici e quali saranno i rami che ne comporranno l’albero della storia futura. Le donne, poi, sono il cardine di grossa parte della riforma; senza più dubbi ormai l’uguaglianza e la parità di accesso alle opportunità è sancita costituzionalmente. Un obiettivo raggiunto, che, assieme alla Moudawana (codice del diritto di famiglia rinnovato), pone il Marocco all’avanguardia in tema di rispetto dei diritti delle donne.

Uno stato costituzionale, aperto, conscio dei diritti, impegnato nel rispetto delle previsioni di legge. Un’immagine che stride profondamente con quella che il mondo ama chiamare, secondo me erroneamente, “primavera araba”. Qui non è la rivoluzione e scuotere il Marocco, ma è il Marocco a prenderne in mano le redini, con saggezza e lungimiranza, non lasciando mano libera a chi, dietro le mentite spoglie della richiesta di libertà, trama per il sovvertimento di una struttura statuale che necessitava solo di un aggiustamento per poter spiccare il volo. Nessun estremismo, nessun patto con diavolo, nessuna federazione creata ad arte all’estero per destabilizzare gli equilibri, potranno scalfire la convinzione che le riforme vanno di pari passo con la crescita di un paese.

Forzarne il percorso è un errore che può risultare fatale. E molti paesi arabi, in cui i diritti sono negati, dovrebbero prendere a modello il Marocco, non facendosi prendere da personalismi e egoismi assoluti, perché l’estremismo è sempre dietro l’angolo.