Certo, ufficialmente l’operazione ha assunto il nome rassicurante di “esercitazione”. Sta di fatto che, considerata la fama del Paese e della sua dittatura al governo, gli Stati limitrofi, o quelli ai quali voleva dare un avvertimento o mostrare, semplicemente, i muscoli, sanno bene che, probabilmente non era una semplice esercitazione. Oggi le Guardie rivoluzionarie iraniane, l’organismo sul quale è fondato il potere degli ayatollah, ha testato 14 missili. Si tratta di missili terra-terra, con una gettata massima di 2mila chilometri, sparati contemporaneamente, come ha riferito l’agenzia di stampa ufficiale Irna, contro lo stesso obiettivo. Gli ordigni erano 9 missili Zelzal, due Shahab-1, due Shahab-2 e un Shahab-3. La getta massima corrisponde a questi ultimi. L’episodio aveva lo scopo, non troppo celato, di mostrare i denti, anzitutto a Israele e, poi, all’America, considerati i sommi nemici della Repubblica islamica. Gli Shahab-3 è stato dimostrato che potrebbero essere in grado di colpire basi Usa e israeliane nel Golfo. Il capo della divisione aerospaziale delle Guardie rivoluzionarie ha voluto ribadire come, in caso di attacco, Teheran saprà punire Tel Aviv e Washington. «La portata dei nostri missili è stata regolata sulle basi americane nella regione, oltre che sul regime sionista», ha spiegato il comandante Amir Ali Hajizadeh. I due paesi interessati, dal canto loro, hanno fatto sapere che, se la diplomazia non sarà in grado di fermare la corsa all’arricchimento di uranio a fini bellici (la bomba nucleare) di dell’Iran, non si possono escludere rappresaglie militari.
Il Paese degli ayatollah ha anche mostrato a degli esperti russi dei droni americani abbattuti nel golfo e dei modelli di cui ne ha copiato la tecnologia. Amir Ali Hajizadeh ha dichiarato: «Questi droni sono stati abbattuti in acque internazionali e zone controllate dalla repubblica islamica. Gli esperti russi hanno chiesto di vedere questi droni e noi glieli abbiamo mostrati, oltre ai modelli copiati dai Guardiani della rivoluzione».