La guerra in Libia sta per volgere al termine? Difficile dirlo, specie se si considera che le operazioni, complessivamente, non sarebbero dovute durare che poche settimane. Un mordi e fuggi, dove ai repentini bombardamenti sarebbe seguita l’immediata caduta del regime, la l’abbandono del potere da parte di Gheddafi, e l’avvento di una soluzione democratica. Non è stato, come è di fronte agli occhi di tutti; il conflitto continua strisciante, con l’aumentare di giorno in giorno delle vittime, soprattutto civili, mentre persiste l’incertezza dell’esito. Gheddafi, intanto, continua ad agire indisturbato e scorrazzare libero per il Paese. Eppure, secondo l’Onu, si sarebbe giunti realmente ad un punto di svolta. I ribelli del Consiglio nazionale di transizione, l’organo riconosciuto come legittimo rappresentante del Paese da svariati stati occidentali, avrebbero in mano l’iniziativa contro le forze di Gheddafi. Il sottosegretario generale per gli Affari politici delle Nazioni Unite, Lynn Pascoe, ragguagliando i membri del Consiglio di sicurezza sullo stato delle cose in Libia ha fatto sapere che, al momento, l’ago della bilancia propenderebbe verso i ribelli. Tuttavia, ha ammesso di non aver un quadro della situazione preciso. Nel frattempo i ribelli, che vogliono farsi chiamare “combattenti per la libertà” sono giunti a meno di 80 chilometri da Tripoli e combattono contro le truppe fedeli a Gheddafi per controllare la cittadina di Bir al-Ghanam. «Siamo alla periferia sud e ovest di Bir al-Ghanam», ha dichiarato alle agenzie Juma Ibrahim, un portavoce dei ribelli. «Ci sono stati – ha aggiunto – scontri per tutta la giornata di ieri. Alcuni nostri combattenti sono caduti da martiri e anche loro hanno avuto perdite. Abbiamo catturato equipaggiamento e automezzi. Oggi è piuttosto tranquillo e i ribelli stanno tenendo le posizioni».Nel frattempo, il governo libico fa sapere che non ritiene legittimo il mandato di cattura internazionale spiccato dalla Corte penale internazionale dell’Aia nei confronti di Muammar Gheddafi, del figlio Saif al Islam e del capo dei servizi segreti Abdullah Al Senussi.
Il ministro della Giustizia Mohammed al Qamoodi, in un comunicato diffuso in tarda serata ha fatto sapere che ritiene il mandato una «una copertura per la Nato per colpire il colonnello». Soprattutto ha fatto presente che, non avendo la Libia sottoscritto il trattato di Roma, con cui è stata istituita la Corte penale internazionale, l’autorità dell’organismo, per Tripoli, avrebbe valenza nulla. «Non accettiamo e non riconosciamo l’autorevolezza della giurisdizione della Cpi».