In prima linea per combattere le bugie di Assad. Si chiama Abdulsattar Attar ed è un attivista siriano, espatriato in Belgio, da dove coordina le attività del gruppo Syrian Revolution 2011, in costante contatto con i manifestanti che protestano contro il regime di Damasco. Fondato da dieci ragazzi, di cui tre emigrati all’estero e sette che vivono in Siria, il gruppo ha raggiunto i 200mila iscritti e attualmente vi lavorano a tempo 400 persone, musulmane, cristiane, curde e alauite, divise in vari gruppi. Uno per esempio tiene i contatti con la stampa, un altro ristabilisce la connessione a Internet ogni volta che il regime la fa saltare, un altro ancora importa clandestinamente telecamere in Siria per documentare quanto sta avvenendo e smascherare la propaganda di Assad. Grazie ai suoi continui contatti con la Siria, Attar rivela per esempio che gli scontri al confine con Israele, nei quali hanno perso la vita 20 palestinesi, sono stati architettati dal governo di Damasco. Documentando inoltre che la notizia della tv ufficiale, secondo cui bande di rivoltosi avrebbero ucciso 120 soldati a Jisr al-Shughour, è solo un’invenzione.
Attar, partiamo dalla notizia dei militari uccisi. Ritiene che sia autentica?
Guardiamo ai fatti. Dall’inizio delle proteste lo scorso 15 marzo il regime ha affermato che 900 soldati sono stati uccisi da parte di «bande criminali» che operano nel Paese. Di queste presunte vittime, sono stati riconsegnati alle famiglie i corpi di 95 soldati. Il governo inoltre non ha mai reso nota la lista con i nomi dei soldati uccisi e l’indicazione del luogo dove sarebbero morti. I servizi in onda sulla tv siriana continuano a raccontare di violenze compiute dalla popolazione contro le forze armate. Si tratta di video manipolati, che raccontano solo bugie. Non dico che non sia avvenuto nessun atto di violenza, in alcuni casi i parenti dei civili uccisi dal regime, soprattutto se si trattava di bambini, hanno deciso di vendicarsi. Ma si tratta di azioni individuali, e non di bande armate che girano per il Paese. Dagli anni ’80 infatti nessuno ha armi in Siria, tranne il regime.
Perché il bilancio delle vittime diffuso dai ribelli dovrebbe essere più credibile di quello del regime?
Noi abbiamo dichiarato che dall’inizio delle proteste sono state uccise più di 1.300 persone, e abbiamo reso noti i nomi, il luogo della morte, la data e il luogo di nascita di ciascuno di loro. Sappiamo tutto di loro. Le autorità affermano invece che le vittime civili non sarebbero più di 200. Proprio per questo, il mio gruppo sta documentando tutte le violenze che il regime compie contro la popolazione.
Che cosa ne pensa degli scontri costati la vita a 20 palestinesi al confine tra Siria e Israele?
Quando avvenuto ha rattristato profondamente tutti i siriani, perché sappiamo che è stato il regime di Assad a spingere i palestinesi a morire in quel modo. Per oltre 40 anni mai nessuno ha attaccato quei confini. Perché quindi Assad ha deciso di farlo proprio ora? Per ricordare a tutto il mondo che la Siria è l’unico Paese arabo a contrapporsi a Israele. Lanciando quindi a Israele un chiaro messaggio: «Se io cado, questo è ciò che accadrà». Non a caso Assad continua a rivendicare che i palestinesi espatriati devono poter tornare nel loro Paese d’origine. Ma si tratta di una falsificazione della realtà. E’ di lunedì infatti la notizia che i palestinesi che vivono nel campo profughi siriano di Yarmouk hanno manifestato contro il regime siriano e contro i leader palestinesi di Damasco, accusandoli di essere loro i veri responsabili di quanto è avvenuto al confine con Israele.
Ma qual è la posizione dei ribelli nei confronti di Israele?
A noi giovani siriani, che abbiamo organizzato la rivoluzione, in questo momento non importa di Israele. Ciò che vogliamo è una Siria democratica, dove tutti i cittadini siano uguali, e siamo consapevoli del fatto che questo richiederà molti anni. Ma se osserva i video delle manifestazioni postate sulle nostre pagine di Facebook, vedrà che non c’è alcun riferimento di nessun tipo nei confronti di Israele.
Ritiene però che tra Siria e Israele in futuro possa esserci una convivenza pacifica?
Sono convinto che la pace tra siriani e israeliani è possibile, perché i Paesi civili hanno come unico obiettivo il rafforzamento della democrazia. Noi stiamo cercando innanzitutto di costruire il futuro della Siria, e proprio per questo la pace con tutti gli Stati confinanti, incluso Israele, è un bene prezioso. Noi giovani siriani non nutriamo alcuna forma di odio nei confronti di Israele. Certo ci sono alcuni problemi, ma ritengo che la Siria possa giungere senza difficoltà a siglare la pace con Israele. Del resto basta vedere l’esempio degli altri Paesi arabi confinanti. La Giordania, che per noi è un modello positivo, ha rapporti pacifici con gli israeliani, e lo stesso vale per l’Egitto. Perché quindi non dovrebbe avvenire lo stesso anche per noi? Lasciateci diventare un Paese solido, in cui la gente può condurre una vita dignitosa, e tutto potrà essere risolto attraverso i negoziati.
Esercito e polizia sono ancora fedeli ad Assad, o stanno iniziando a sfuggirgli di mano?
I casi di defezioni sono sempre più numerosi. Lunedì Al Jazeera ha intervistato un tenente che ha dichiarato di essersi ribellato al regime. A Jisr al-Shughour 90 militari si sarebbero rifiutati di eseguire l’ordine di uccidere dei civili, sollevandosi contro il loro comandante. Lo stesso è avvenuto a Daraa, dove il mio gruppo ha realizzato dei filmati, alcuni dei quali trasmessi anche da Al Jazeera, di in cui si vedono le forze di sicurezza che sparano ai soldati. L’aspetto interessante è che è tutto documentato dai video, abbiamo diversi militari che si sono fatti riprendere dalle telecamere, mostrando la loro carta d’identità e i loro gradi, e raccontando che il regime aveva ordinato loro di uccidere i manifestanti e che, per questo motivo, avevano deciso di disertare.
Il regime però è ancora saldamente al potere. Come pensate di farlo cadere?
I giovani che vivono in Siria e noi siriani all’estero siamo pronti a liberare il nostro Paese in modo pacifico. Finora sono morti 1.300 manifestanti, ma noi siamo pronti a seppellire 100mila dei nostri pur di conquistare la libertà. Continueremo quindi a organizzare manifestazioni, perché questa è la strada che abbiamo intrapreso di nostra spontanea iniziativa. Senza commettere violenze, ma bloccando l’intero Paese fino a che Assad cadrà. Abbiamo fermato l’economia, prima o poi il regime non avrà più il denaro per pagare le forze di sicurezza e queste lo abbandoneranno. E’ una guerra di nervi tra la gente e il regime e alla fine vincerà chi sarà più paziente.
Che cosa ne pensa della posizione di Ue, Usa e Onu?
La posizione che noi siriani ammiriamo e apprezziamo di più in assoluto è quella dell’Unione Europea. Francia e Regno Unito hanno negato legittimità al regime siriano, imponendo sanzioni molto significative. Per noi le pressioni politiche della comunità internazionale sono fondamentali, e quindi dall’Europa ci aspettiamo che vada avanti. Per quanto riguarda gli Usa invece, hanno alternato dichiarazioni di condanna nei confronti di Assad a prese di posizione in cui si parlavano di concedergli un’altra chance. Queste dichiarazioni discordanti hanno creato una certa confusione. Dal’Onu invece ci aspettiamo una presa di posizione forte per proibire al regime di uccidere altri civili.
(Pietro Vernizzi)