Un altro soldato italiano è morto in Afghanistan. C’è chi la chiama resistenza afghana, non senza un alone di romanticismo da film che però qui tra le rocce del paese asiatico più tristemente “famoso” del mondo non ha nulla di romantico. Un altro militare italiano, il primo caporal maggiore Roberto Marchini, è stato ucciso da un ordigno rudimentale. Non era su un mezzo blindato, a quanto trapela da fonti vicine alla farnesina e riportate dalle agenzie di stampa, ma a piedi. Uno scoppio innescato forse da un “partigiano” talebano, a distanza visiva. Per uccidere. Il contingente italiano in Afghanistan non ha il compito di uccidere la popolazione o di occupare un suolo straniero a scopo di conquista, anche per questo il paragone non regge. Secondo le prime ricostruzioni infatti, il ventottenne geniere di Viterbo era di stanza nell’area di Bakwa, nella parte sud occidentale del comando italiano. Stava compiendo il suo dovere il caporal maggiore Marchini, avvicinandosi a un ordigno rudimentale piazzato per colpire il mezzo blindato su cui stava viaggiando con i suoi commilitoni. Una volta avvistata la bomba è necessario disinnescarla a mano e il Marchini ci si stava avvicinando a piedi. Chissà quante volte lo ha fatto, in addestramento o in campo operativo. Non sarà stata la prima volta che si avvicinava a un ordigno, magari pensando a quanto stava rischiando, o forse senza pensarci, solo per compiere il suo dovere. Il comunicato dello stato maggiore della difesa recita così: “Nella mattinata di oggi a circa 3 chilometri a ovest della Forward Operating Base ‘Lavaredo’ nel distretto di Bakwa (Provincia di Farah) un militare italiano e’ deceduto a seguito dell’esplosione di un ordigno.
Nell’esplosione, la cui natura e’ in corso di accertamento, e’ deceduto il primo caporal maggiore Roberto Marchini di Viterbo, appartenente all’ 8° Reggimento Genio Guastatori Folgore di Legnago (VR), nato nel 1983. La famiglia del militare e’ stata avvisata”.



E’ quel che serve per descrivere ciò che è successo perché davanti a una azione di rappresaglia contro un contingente come quello italiano (che ricordiamo era in ricognizione con personale afghano, da sempre vero obiettivo del regime talebano ferito e spodestato in lotta per riacquisire il proprio potere e non certo per chissà quali ideali. Adesso ci saranno le grida, ma il silenzio è la posizione più giusta e rispettosa nei confronti di un uomo e della sua famiglia colpiti da una bomba, che non è scoppiata solo tra le rocce dell’Afghanistan.



(V. Crip.)

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