Hillary Clinton lascia la politica. Non subito, ma quasi. La scadenza prefissata è l’anno prossimo, in coincidenza con le presidenziali. Il segretario di Stato americano – ci ha tenuto a sottolinearlo – ama quello che fa. «Ma non voglio mentire. Sono stanca. Vorrei passare del tempo con i miei amici e la mia famiglia e non essere in giro per il mondo tutto il tempo». 18 mesi di durissimo lavoro, ancora, poi, il ritorno alla vita privata. Già in passato, colloquiando con la Cnn, aveva riferito che avrebbe lasciato la politica laddove Obama fosse stato riconfermato. E che, in ogni caso, non era interessata ad assumere nuove cariche in una seconda amministrazione guidata dall’attuale presidente. Difficile stabilire se alla parole seguiranno i fatti. O se all’ultimo spunterà un’impellenza talmente grave e stringente da obbligarla a tornare sui suoi passi per senso di responsabilità. E’ tipico dei politici, del resto, utilizzare formule del genere per riciclarsi di continuo. Sta di fatto che, se realmente dovesse lasciare, si chiuderebbe un’era. La vita della Clinton (Rodham, da signorina) è stata costellata di successi che prescindono dal cognome che ha assunto. Fu una delle uniche due donne, all’epoca, a diventare membro dall’University of Arkansas, Fayetteville School of Law, e come avvocato fece parte dell’impeachment presidenziale ai tempi di Nixon, informando il Comitato giudiziario durante il Watergate. Da first lady al fianco di Bill Clinton venne considerata la moglie presidenziale più influente dai tempi di Eleanor Roosevelt. Venne apprezzata per l’aplomb con il quale superò  il sexgate che vide coinvolto il marito. Il che contribuì ad affermarne l’immagine. 



Non bastò, tuttavia, a farle vincere le primarie del partito democratico, e nel 2008 venne sconfitta, a sorpresa, dall’allora senatore dell’Illinois che la volle al suo fianco come ministro degli Esteri. Non è un mistero che la Clinton, abbia sempre mal sopportato l’idea di dover stare un gradino più in basso dell’”ultimo arrivato”, e non è escluso che la sua idea di mollare sia legata a tale difficoltà. Il suo impegno nel «rilanciare l’influenza e la leadership americana» dopo l’epoca Bush si è contraddistinto, non a caso, in un estrema autonomia decisionale che ha sempre dato l’impressione di una donna potente a prescindere dal presidente di turno. 

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