Un padre giapponese da quattro mesi cerca ogni giorno i resti della moglie e della figlia piccola, morte a causa dello tsunami dell’11 marzo scorso.
RICERCA SENZA SPERANZA – Maromu Oikawa, un pompiere 30enne, esce sempre di casa a piedi con una pala, una motosega e tre fotografie. L’uomo setaccia le rive del fiume, i campi di riso, i burroni, e qualsiasi altro luogo dove potrebbero essere nascosti i loro resti. Utilizza la pala per sollevare i pezzi di cemento, la motosega tagliare il legno, e in qualsiasi momento si aspetta di imbattersi in una mano o un volto che possano ricondurlo ai suoi cari. Come raccontato da un reportage di John M. Glionna per il Los Angeles Times, Oikawa sta cercando i corpi della moglie e della figlia piccola, scomparse l’11 marzo quando il terremoto ha strappato le case dalle fondamenta e ucciso tutte le persone che si trovavano al loro interno. Il disastro ha colpito duramente Ishinomaki, una cittadina di 160mila agricoltori e pescatori. Su 8mila persone ancora disperse nel nord-est del Giappone, 2.770 vengono da qui. Ishinomaki ha anche subito in assoluto il più grave bilancio delle vittime: 3.100 in tutto. Oikawa sa bene che non potrà mai più rivedere vivi i suoi familiari.
UNA CITTA’ FANTASMA – E con ogni probabilità, se riuscirà a individuare dove si trovano i loro corpi, saranno già praticamente irriconoscibili. Ma Oikawa non si arrende, e nei momenti di dubbio tira fuori le fotografie della moglie 29enne, Emi, della figlia di 15 mesi, Atsuki, e si rivolge a loro. «Mi dispiace – dice dolcemente -. Mi dispiace». In giapponese, Maromu significa «proteggere» e il pompiere si sente terribilmente in colpa per essere fallito il suo compito con le due persone che amava di più. La zona è piena di sopravvissuti con amici e familiari rimasti dispersi, e con il passare del tempo le loro speranze di ritrovare i loro morti si assottigliano sempre di più. Ma Oikawa assicura che non si fermerà finché non troverà la moglie e la figlia. «Continuerò a cercare anche l’anno prossimo e quello successivo», racconta. In una città di provincia come Ishinomaki, l’assenza delle persone morte o scomparse si fa sentire molto anche nella vita sociale di tutti i giorni. Tra di loro ci sono infatti il procuratore, il vigile urbano, la ragazza dell’edicola, il barbiere. Il direttore del giornale locale, Hiroyuki Takeuchi, racconta: «La città sembra essere tornata alla normalità. Ma dentro, c’è un’aspra ferita psicologica che non si rimarginerà».
INCUBI E OSSESSIONI – Le famiglie continuano a languire negli accampamenti per rifugiati, i padri di famiglia sono senza né casa né lavoro né prospettive realistiche per il futuro. Alcuni si suicidano piuttosto che affrontare una realtà così dura. Da marzo, sono stati tirati fuori dalle macerie 500 cadaveri, in media uno o due al giorno. Ogni volta che ne è scoperto uno, le famiglie che hanno ancora dei dispersi si precipitano all’obitorio, sperando che sia la volta buona. Ma anche la scoperta del corpo non è una garanzia: molti sono così decomposti che l’unico modo di identificarli è attraverso le analisi del Dna. I funzionari per la salute mentale raccontano che le madri delle bambine annegate all’interno dello scuolabus ritornano ossessivamente ogni giorno nel punto in cui il pulmino è stato ritrovato. Oikawa ha trascorso oltre 200 ore, almeno una al giorno, a cercare non solo i resti di Emi e Atsuki, ma anche qualsiasi altra cosa appartenesse a loro: un pezzo del loro vestito, una scarpa o il grembiulino della piccola. Keitaro Kimura, un amico di Oikawa, racconta: «Il loro ricordo lo perseguita. Il fatto che le stia ancora cercando dimostra quanto le amava».
(Pietro Vernizzi)