La tragedia dell’isola di Utoya, dove il folle assassino ha fatto strage di quasi 70 giovani, continua a rivelare particolari impressionanti. Come la conversazione via sms tra una ragazza e la madre a casa

L’orrore vissuto dai giovani norvegesi intrappolati su un isolotto in preda di un folle assassino, è qualcosa che solo chi lo ha vissuto ne conosce l’intensità e la profondità. Qualunque ipotesi, qualunque tentativo di immaginare quei momenti non sarà mai paragonabile a chi quegli attimi li ha veramente vissuti. Alcune immagini di quanto successo sono arrivate anche a noi, ad esempio il momento in cui Anders Breivik, il mostro di Utoya, si ferma a finire a colpi di pistola un giovane che già era stato colpito. Quelle immagini sono giunte al mondo grazie a un operatore della televisione norvegese giunto sul posto in elicottero quando la notizia di quello che stava succedendo ha cominciato a essere pubblica. La cosa incredibile è che inizialmente l’operatore non si era neppure accorto di quello che stava succedendo: “L’isola sembrava deserta” ha raccontato. “Pensavamo che la polizia l’avesse fata sgombrare”.



Solo più tardi, visionando attentamente il filmato, ha visto il mostro che puntava la pistola contro una persona nascosta tra gli scogli. Certo è che è tutto da verificare l’operato della polizia norvegese, incapace di giungere sull’isola maledetta prima dei giornalisti televisivi. Breivik infine sarebbe stato finalmente neutralizzato grazie a dei gas lacrimogeni sparati da un elicottero della polizia che hanno neutralizzato il fole e permesso il suo arresto. Una strage cominciata nel modo più impensabile, ma diabolicamente astuto, come lo aveva preparato il massacratore. Era infatti giunto sull’isola in perfetta tenuta da poliziotto, dicendo che in seguito all’attentato di Oslo (che aveva provocato lui stesso) doveva fare dei normali controlli sulla sicurezza, niente di che preoccuparsi. Chi è sopravvissuto ricorda che Breivik era calmissimo e non incuteva timore. Mostra i suoi documenti e chiede ai giovani di andare verso di lui. In quel momento comincia l’inferno: apre il fuoco e inizia il massacro. Dopo aver colpito i primi, comincia a girare l’isola cercando uno a uno o i giovani che si buttavano in acqua o cercavano riparo tra gli scogli o i cadaveri dei loro amici.



Tra questi giovani che cercano scampo c’è Julie Bremnes, una bella ragazza tipicamente scandinava nelle fattezze, di soli 16 anni. Anche lei sta partecipando al campus dei giovani laburisti. In tutto la strage durerà novanta minuti, minuti lunghissimi e allucinanti. Come tanti altri, Julie ha con sé un telefono cellulare. Appena si rende conto di quello che sta succedendo, manda un sms alla madre, che è a casa sua. E’ l’inizio di una documentazione allucinante che documenta quello che hanno vissuto quei giovani in quei novanta minuti, pubblicata dal quotidiano norvegese Vg, proprio il quotidiano che è stato investito dall’esplosione dell’autobomba del folle. Sono le 17 e 42 quando arriva il primo sms: “Mamma, dì alla polizia che devono sbrigarsi, qui la gente sta morendo”.



La madre risponde dicendole che la polizia è al corrente e sta andando verso l’isola. Julie è ben cosciente di quello che sta succedendo: “Dì alla polizia che c’è un pazzo che corre in giro e spara alla gente. Devono sbrigarsi!”. La madre cerca di far forza alla figlia, dicendole che la polizia sa tutto e che andrà tutto bene. Poi chiede alla figlia di mandare un sms ogni cinque minuti per far capire loro che è ancora viva. Lei dice di sì, ma con parole che dicono tutta l’angoscia del momento: “Abbiamo paura di morire”. A un certo punto Julie scrive un messaggio: è stato allora, dirà la madre, che ho capito che mia figlia era sicura di essere uccisa: “Mamma, ti voglio bene, anche se ogni tanto mi comporto male”. Sono come le parole del suo addio. Ma subito avvisa che comunque non si farà prendere dal panico, anche se è terrorizzata.

La conversazione via sms continua a pause: “C’è la polizia” dice Julie. “Dicono che quello che spara ha l’uniforme della polizia. Stai attenta! Che succede?” la avverte la madre. “Non lo sappiamo”. Pausa. “Puoi parlare ora?” chiede la donna. Julie. “No, sta ancora sparando!”. E poco dopo: “Sono ancora viva”. E’ alle ore 19 e un minuto che la tragica conversazione si conclude con un messaggio liberatorio: “Lo hanno preso!”. E’ la fine dell’incubo. Per altri non andrà così bene come per Julie. Gunnar Linaker, 23 anni, ad esempio, riesce a telefonare al padre quando comincia la follia. “Papà, qualcuno sta sparando” dice. Poi riattacca. Non uscirà vivo dall’isola maledetta.