Austen Ivereigh è un eminente giornalista britannico, cattolico, coordinatore del progetto Catholic Voices, nato nel 2010, in occasione  della visita di Benedetto XVI in Gran Bretagna. Lo scopo iniziale di Catholic Voices era di assicurare che la visita del Papa fosse correttamente rappresentata sui media britannici, ma l’esperienza è continuata sulla spinta di questa visita, con l’intento di costituire un luogo in cui possa essere sviluppato un nuovo umanismo cattolico secondo l’ispirazione del Beato Cardinale Newman. Ilsussidiario.net lo ha intervistato sulla portata e le conseguenze di più lungo periodo del recente scandalo delle intercettazioni che ha minato le basi dell’impero mediatico di Rupert Murdoch in Gran Bretagna.



Cosa pensa di quanto scritto da Anthony Horowitz sul Telegraph, cioè che gli abusi della stampa sono cominciati con Blair?

Il giorno delle elezioni del 2002, il Sun uscì con in copertina una foto di Neil Kinnock con un titolo poi diventato celebre “l’ultimo che lascia la Gran Bretagna spenga la luce, grazie”. Si diffuse quindi l’idea che il Sun avesse provocato la sconfitta dei laburisti, e che quindi sostenere i giornali di Murdoch fosse essenziale per vincere. Ecco perché, prima della vittoria del 1997, Blair si recò in Australia per incontrare Murdoch. Si può quindi dire che con Blair sia cominciato il costume di “inginocchiarsi” davanti a Murdoch, questo è sicuro, ma questo fatto da solo non spiega lo scandalo delle intercettazioni. L’origine di queste pratiche è semmai nelle pressioni di natura economica che, in tempi di considerevole calo delle vendite, gravano sui giornali. Con l’accresciuta importanza della radio, della Tv e infine del web, i giornali hanno avuto bisogno di violare la privacy delle persone per ottenere storie che fossero cosi sensazionali da assicurare un buon numero di copie vendute. Come tutti i casi simili di immoralità simili, si è giustificato tutto con una rivendicazione di moralità: la funzione dei giornali di svelare le ipocrisie dei personaggi pubblici. Finché i loro obiettivi sono stati deputati e personaggi famosi, la strategia ha funzionato. La gente comune pensava infatti “si tratta di loro, non di noi”. Ma dopo lo scandalo dell’intercettazione del telefono di Milly Dowler (13enne rapita e assassinata nel 2002, ndr), tutto è cambiato: improvvisamente, vittima delle intercettazioni è diventata la gente comune.



Quali conseguenze avrà questo scandalo?

Credo che il primo effetto sia stato quello di avere causato un crescente cinismo attorno alla vita pubblica. Nel 2008 lo scandalo ha investito i mercati, col comportamento esecrabile dei banchieri: è seguito poi lo scandalo delle spese folli dei deputati, che ha intaccato la reputazione del Parlamento, e poi è venuto il turno del “quarto potere”. In ciascuno di questi casi, le istituzioni hanno creduto di non dover rendere conto a nessuno, si sono cioè considerate al di sopra della legge. Ecco il motivo per cui il Labour non ha guadagnato dallo scandalo attuale come avrebbe potuto: la gente considera i politici di entrambi gli schieramenti collusi con Murdoch. Come tutti gli scandali, prima o poi finirà e rotolerà qualche testa, dopo di che si riprenderà come al solito. In ogni caso, si è assistito a un massiccio spostamento di potere, che potremmo anche chiamare rivoluzione per un aspetto molto specifico: non è più Murdoch a fare il bello e il cattivo tempo. Vedere Rupert e James Murdoch in Parlamento è stato un grande cambiamento, come vedere la mafia in tribunale. Non avranno mai più lo stesso potere che avevano prima sulla vita pubblica della Gran Bretagna.



Crede anche lei, come ha detto Ed Miliband, il leader laburista, che Cameron ancora non comprenda la portata di quanto avvenuto?

No, non credo sia cosi. Miliband si riferiva all’assunzione come capo della comunicazione di Downing Street di Andy Coulson [ex direttore di News of the World]. Ovviamente si è trattato di un grave errore, di cui Cameron stesso si è pentito, ma non penso che la sua risposta allo scandalo possa essere definita inadeguata. Credo che il suo discorso alla Camera dei Comuni sia stato eccellente, e che abbia avuto il merito di aver dato inizio a un’inchiesta, guidata da un giudice, con una vasta gamma di poteri. Nei prossimi mesi sarà tutto più affascinante, discuteremo i grandi temi etici relativi ai media, la  libertà di parola e la privacy, tutti argomenti finora rimasti confinati alla letteratura.

Non crede quindi che i cattolici che hanno votato il partito conservatore alle ultime elezioni ritorneranno al Labour?

Non per lo scandalo delle intercettazioni, certamente no. Credo che entrambi i partiti siano vittime del loro ossequio per Murdoch.

Quali misure dovrebbero essere attuate per limitare le violazioni della privacy?

Credo che ciò di cui abbiamo più bisogno sia una robusta legge sulla privacy, che controbilanci l’eccessiva libertà della stampa. Ciò che dovrebbe essere chiaro nella legge è che ciò che interessa al pubblico non coincide necessariamente con l’interesse pubblico, così come le vite private dei personaggi pubblici non diventano, solo per questo fatto, automaticamente di interesse pubblico. Al momento, l’unico freno che i giornali hanno è la diffamazione, nel caso vengano pubblicate notizie false, ma si tratta di un processo molto lungo e costoso. Ma ora l’interesse maggiore è per storie autentiche, o che contengano dettagli autentici, che appartengono però alla sfera privata.

Non teme che alla lunga  questo possa minare la libertà della stampa?

Sì certo. Ma le restrizioni alla libertà non sono di per sé una cosa cattiva, tutto dipende dall’uso che si fa della libertà. Il salario minimo viola la libertà dei mercati, ma è una misura per il bene comune, perché i mercati non riescono ad autoregolarsi. Nell’ambito del giornalismo britannico abbiamo l’esempio delle emittenti televisive, che, a differenza della stampa, sono molto regolamentate, pur godendo di libertà di espressione. Come giornalista, sono convinto che se una storia è veramente di interesse pubblico, il giornalista riuscirà a pubblicarla. Al contempo, i giornali non dovranno temere di aver violato la legge.

In un pezzo per la rivista online America ha scritto che si aspettava un contributo decisivo della Chiesa al dibattito. É soddisfatto delle risposte date finora?

La Chiesa non ha ancora detto nulla, perlomeno in via ufficiale. Spero però che i cattolici prendano parte al dibattito che scaturirà dai risultati dell’inchiesta guidata da Lord Leveson. Ad esempio, il diritto canonico contiene già alcuni principi che sono alla base della legge moderna sul reato di calunnia. Credo che i cattolici abbiano molto da dire sul rapporto tra libertà di parola e difesa della reputazione personale. I principi della dottrina sociale della Chiesa sono in questo contesto fondamentali, soprattutto per rispondere alla domanda “qual è lo scopo del giornalismo?”. Una volta che si abbandona l’idea del giornalismo come industria produttrice di prodotti (cioé, storie) possiamo cominciare a parlare di giornalismo come voce della società civile, in grado di indurre Stato e mercato a render conto delle proprie azioni. Il progetto che presiedo, Catholic Voices, prevede di riunire direttori e giornalisti nell’ultima parte di quest’anno per dare un contributo positivo al dibattito nazionale sull’argomento.

Ma alla fine, esiste una qualche eredità positiva di Murdoch?

Non mi piacciono né lui, né i suoi valori, ma non dobbiamo farne un capro espiatorio. Certamente non é peggiore di Paul Dacre, il direttore del Daily Mail, che viola costantemente la privacy delle persone, rovinando la reputazione delle sue vittime, per solleticare gli istinti dei suoi lettori. E fa tutto questo ergendosi a ruolo di “polizia morale” della nazione. Il Daily Mail e il Daily Mirror sono già stati implicati in intercettazioni telefoniche. Credo che quanto più ne sapremo, tanto più ci renderemo conto di quanto le intercettazioni siano un costume diffuso. Per quanto riguarda i meriti di Murdoch, non c’è dubbio che senza News International, il Times avrebbe fatto fatica a sopravvivere. Le perdite registrate dal Times sono infatti compensate dalle altre testate della corporation. Una delle grandi questioni infatti è la dipendenza del giornalismo di qualità dalle corporation. Se il giornalismo deve tornare a essere il mezzo attraverso il quale la società civile influenza Stato e mercato, dovrà essere indipendente, libero sia dal potere politico che da quello economico. Ma chi pagherà? In questo senso, credo che la sfida attuale del giornalismo sia la stessa della società civile – e cioè come diventare così forti da condizionare Stato e mercato, invece che esserne condizionati.

(Arianna Capuani)