Per Gheddafi questa volta è davvero finita. Ieri i ribelli, al termine di una avanzata che li ha portati nel cuore della prima città della Libia, baluardo dei simpatizzanti del regime e delle truppe lealiste, hanno conquistato Tripoli, mettendo fine alla dittatura del rais libico. A nulla sembrano valsi gli appelli di Gheddafi a scendere nelle strade e a impugnare le armi contro i ribelli; secondo le informazioni diffuse in serata, anzi, tre figli del Colonnello – Saif al-Islam, Saadi e il figlio maggiore Mohammad – sono stati fatti prigionieri.



La sorte di Gheddafi, nel frattempo è divenuta incerta. Secondo alcune fonti il presidente del Venezuela Ugo Chavez gli avrebbe messo a disposizione due aerei per la fuga in Venezuela; secondo altre fonti Gheddafi sarebbe invece pronto a fuggire in Sudafrica, una versione ancora differente lo dà in fuga verso l’Algeria. Il capo del Consiglio nazionale di transizione Mustafa Abdel Jalil ha detto di essere pronto ad ordinare la cessazione delle ostilità, a patto che Gheddafi manifesti l’intenzione di lasciare il paese. Pare che nel frattempo la guardia presidenziale del rais si sia arresa ai ribelli. Ibrahim Moussa, portavoce del regime, dopo la caduta di Tripoli in mano ai ribelli aveva detto che Gheddafi era pronto a trattare in cambio di una cessazione delle ostilità, offrendo da parte del Colonnello il cessate il fuoco. Una trattativa, pare, superata dagli eventi.



I ribelli stanno già preparando l’immediato dopo-Gheddafi. La parola d’ordine è: “evitare disordini, vendette e ritorsioni a Tripoli”. Gli uomini dell’opposizione al regime presenti nella Capitale avrebbero ricevuto istruzioni in merito. Loro per primi pare che predisporranno il terreno alla penetrazione degli insorti nella città. Contestualmente avranno il compito decisivo, quartiere per quartiere, di sedare i bollenti spiriti di coloro che cercheranno di linciare i concittadini pro-Gheddafi. Ci riusciranno? Per capire cosa potrà accadere a Tripoli nelle prossime ore, ilsussidiario.net ha sentito il generale Carlo Jean.



«Ci sono due ipotesi. La prima è che l’accerchiamento di Tripoli venga completato, la roccaforte isolata e gli insorti aspettino che Gheddafi cada per fame, fugga, o che qualcuno lo elimini, mentre la città si arrende senza combattimenti. La seconda: si combatte strada per strada, con il rischio di un bagno di sangue. Difficile capire come andrà a finire. Non si conosce l’entità delle forze fedeli a Gheddafi, la loro volontà di combattimento, né di quali armamenti dispongano. Conquistare una città di un milione di abitanti con poche migliaia di uomini, del resto, non è impresa da poco».

Se questo accadrà, «sarà estremamente difficile evitare vendette contro la popolazione e contro i fedeli di Gheddafi – continua Jean -. Anche se il Qatar ha dato una mano al governo provvisorio di Bengasi nell’allestimento di una brigata speciale, la “Tripoli”. È stata addestrata ed equipaggiata per evitare i disordini nelle città e mantenere la sicurezza». Una volta conquistata Tripoli, si chiuderanno definitivamente i giochi o c’è il rischio che Gheddafi possa ulteriormente riciclarsi, fuggire, e organizzare la controffensiva altrove? «La caduta di Tripoli rischia di diventare come quella di Baghdad. Si potrebbe aprire una seconda fase in cui i fedeli di Gheddafi e le tribù ostili al governo di Bengasi continuano a combattere con i procedimenti tipici della guerra di lunga durata, con guerriglia e attentati terroristici».

Uno scenario tutt’altro che da escludere. «L’eventualità, infatti, è già stata predisposta da parte di Gheddafi con la distribuzione di armi alla popolazione». Allora, in ogni caso, la sorte del Colonnello avrà «ben poca importanza, così come ne aveva ben poca quella di Saddam. Una volta perso il potere, potrebbe fuggire, essere sottoposto al tribunale dell’Aja, eliminato o giudicato da un tribunale libico; ma tutto ciò non conta. Ciò che conta, invece, sono le tribù che gli sono fedeli. Queste non accetteranno mai di sottoporsi al Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt)».

Il quale per Jean «di nazionale ha ben poco, dato che si tratta per la maggior parte di persone provenienti dalla Cirenaica». E, a proposito del Consiglio, Jean è incerto sulla possibilità di un equilibrio futuro ottenibile facilmente e a breve termine: «I ribelli, a mio avviso, sono molto divisi. Lo dimostra, ad esempio, il fatto che Jalil, il presidente del Cnt, abbia fatto dimissionare tutti i ministri tranne Mahmoud Jabril, la persona maggiormente “presentabile” all’esterno. Tra le tribù, inoltre, la competizione rimane alta; i maggiori risultati sul campo li hanno ottenuti gli insorti berberi, che sono quelli che hanno isolato Tripoli a Sud e a Ovest, bloccando i collegamenti con la Tunisia e l’Algeria. Difficile credere che non rivendicheranno, in futuro, maggiori spazi e potere». 

Le forze della coalizione internazionale della Nato, nel frattempo, «continuano a bombardare in tutta la Libia, laddove vi siano assembramenti di truppe, come a Brega, per esempio. E, sicuramente, hanno sul terreno delle forze speciali che dirigono gli aerei. Dovendo, infatti, i caccia intervenire nei centri abitati, occorre una guida da terra con indicatori laser, infrarossi o satellitari perché sappiano dove colpire».

La Nato, oltre ad essere ancora un attore fondamentale sul piano militare, lo è anche dal punto di vista logistico e strategico. «Ieri il numero due del Dipartimento di Stato Americano era a Bengasi; con ogni probabilità avrà convinto i membri del Consiglio ad impegnarsi per evitare vendette e ritorsioni, sapendo bene che queste prolungherebbero all’infinito il conflitto». L’Italia, dal canto suo, «sta continuando a partecipare allo sforzo bellico. Nel frattempo, Jalud (ex numero due del regime, passato con gli insorti ndr) è stato a Roma; il fatto che avesse rapporti molto stretti con diversi esponenti del mondo della politica e con i nostri servizi di sicurezza, fa sperare che i nostri interessi in Libia saranno tutelati». 

 

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