Dopo sei mesi di operazioni belliche, condotte tra qualche incertezza e qualche inevitabile momento di pessimismo, Tripoli è stata quasi completamente liberata e il Colonnello, ovunque egli si trovi, è in ginocchio.
Ma la guerra in Libia è davvero finita? E soprattutto possiamo gridare alla vittoria?
Probabilmente per noi occidentali le operazioni di guerra possono dirsi quasi concluse e un certo ottimismo inizia a farsi strada, dopo mesi di empasse a volte imbarazzante in cui troppo spesso Gheddafi era apparso in tv fiero della sua “imbattibilità”, in barba agli sforzi delle forze Nato. Un ottimismo evidente non solo nelle parole dei politici “nostrani” ma anche nelle reazioni del mondo economico, tanto che l’effetto Libia si è fatto sentire anche sulle borse europee, dopo giorni a dir poco neri, con guadagni superiori all’1%, trainati, inevitabilmente, dai titoli energetici.
Ma forse se la “nostra” guerra in Libia può dirsi quasi conclusa, la guerra della Libia potrebbe essere ancora lunga e sanguinosa.
La fine della dittatura del raìs che ha tenuto ben stretto il potere il Libia per 42 anni non prelude alla pace nel paese. I motivi sono molti e affondano in buona parte nella storia, una storia diversa da quella degli altri regimi che sono crollati con la primavera araba.
La Libia, a differenza dell’Egitto e della Tunisia, non ha mai avuto delle reali istituzioni ma è stata per quasi un cinquantennio la Jamahiriya di Gheddafi, una sorta di “struttura” senza partiti politici d’opposizione, né sindacati indipendenti e neppure una società civile degna di questo nome. Il paese, fino ad oggi, non è stato tenuto insieme dalle istituzioni e neppure dall’esercito, ma dal potere personale di Gheddafi, prova ne sia che questi sei mesi di guerra non sono stati in grado di far emergere una figura chiave in grado di guidare una transizione unitaria. Il rischio è che, a differenza degli altri paesi, dove è stato possibile liberarsi del dittatore ma tenere piedi, in qualche modo, una sorta di apparato statale, nel caso della Libia la caduta del colonnello potrebbe implicare anche il collasso del sistema.
Qualcuno potrebbe far notare che in pochi mesi è stato messo in piedi un Consiglio Nazionale di Transizione che ha già pronta una sua road map per il futuro del paese e ha già stretto accordi economici con gli amici occidentali, ma in realtà questo organo, per lo meno al momento, è poco più che una scatola vuota, senza neppure comitato esecutivo. Difficile credere che riesca a gestire i tanti gruppi e milizie di tipo tribale e politico, ognuno con la sua guida, che hanno assunto un peso militare e politico crescente nei mesi di combattimento e che ora attendono impazienti la propria fetta della torta.
A ciò si aggiunga che la Tripolitania non è la Cirenaica e che, anche se inizialmente a Tripoli la popolazione sembra avere accolto con entusiasmo i ribelli, è plausibile ipotizzare che gruppi di fedeli al regime, che hanno abbandonato la città prima del crollo, saranno pronti a fare ritorno a tempo debito, quando ci sarà da spartirsi il potere e, soprattutto, le ingenti risorse di cui dispone il paese.
Provando allora a rispondere alla domanda da cui eravamo partiti, è probabile che in Libia la guerra non sia davvero finita ma quella combattuta assieme agli aerei della Nato potrebbe lasciare il posto a una difficile e sanguinosa transizione fatta di guerre intestine, non certo meno sanguinose. Per quanto riguarda l’altra questione, ossia se davvero abbiamo vinto questa guerra, dopo un conflitto molto più lungo del previsto, gli alleati probabilmente prenderanno atto del fatto che un paese ingovernabile è il peggiore dei partner possibili e questa non è certo una gran vittoria.