“L’impegno militare italiano in Libia proseguirà anche dopo la cattura di Gheddafi, fino a quando le circostanze lo richiederanno”. Lo afferma il ministro degli Esteri, Franco Frattini, nel giorno in cui il Colonnello libico torna a fare sentire la sua voce e proseguono gli scontri in una Tripoli non ancora del tutto espugnata. Intervistato da IlSussidiario.net, Frattini sottolinea che anche dopo la fine del conflitto l’Italia continuerà a giocare un ruolo fondamentale in Libia sul piano degli interventi infrastrutturali, del settore energetico, delle telecomunicazioni e dell’emigrazione, senza essere in questo scalzata dai francesi. E anticipa la road map per stabilizzare il Paese in vista delle elezioni, che illustrerà nel dettaglio durante il suo intervento di oggi pomeriggio al Meeting di Rimini sul tema “La sfida del Nord Africa: conciliare stabilità e diritti”.



L’Occidente ha impiegato le proprie forze armate per liberare la Libia. Fino a che punto potrà intervenire per la tutela dei diritti civili e politici, e fino a che punto questo rimarrà un affare interno alla Libia come era ai tempi di Gheddafi?

L’Occidente non ha utilizzato direttamente le proprie forze armate per liberare la Libia ma dopo la risoluzione 1973/2011 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, si è mosso insieme ad alcuni Paesi arabi (Giordania, Emirati Arabi Uniti, Qatar) per tutelare le popolazioni civili contro la violenza e le sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Gheddafi. Il CNT ha avuto dalla NATO un importante aiuto per liberarsi dall’oppressione del regime e penso che sarà grato ai Paesi occidentali, tra i quali l’Italia, che hanno offerto il loro appoggio. Sarà il Governo libico a decidere se e come chiedere un ulteriore aiuto ai Paesi che si sono mossi a favore del CNT. Allo stesso modo, credo che i Paesi occidentali, e in primo luogo il nostro, saranno presenti qualora il nuovo governo libico ritenga opportuno avvalersi di una collaborazione internazionale per avviare una nuova fase della sua storia. Le missioni in Europa di alcuni leader libici attualmente in corso indicano il desiderio di un’apertura internazionale certamente positivo e l’Italia potrà senz’altro giocare un ruolo fondamentale anche in questa seconda fase del processo di pacificazione del Paese.



Prima di arrivare alle elezioni generali, quali passaggi ritiene opportuni in Libia per assicurare la stabilità del Paese, evitando che cada in mano ai fondamentalisti?

Credo sia innanzi tutto necessario garantire l’unità del Paese sconvolto da una guerra civile molto divisiva. Nel fare ciò essenziale sarà stabilire una sostanziale  sicurezza per la popolazione civile; al momento troppi dispongono di armi e altri armamenti e, una volta concluso il conflitto, si dovrà procedere al disarmo delle milizie e ristabilire  l’ordine pubblico senza il quale nessuna elezione potrebbe aver luogo. Un altro passo importante è il progressivo scongelamento dei beni libici affinché il nuovo governo possa contare su risorse economiche da destinare al consolidamento democratico. In terzo luogo, occorrerà avviare l’attuazione della “road map” politica disegnata dal CNT con l’istituzione di un Governo provvisorio , la nascita di un’ Assemblea Costituente e successiva adozione di una Costituzione cui dovrebbe far seguito la consultazione elettorale.



Una parte dei cittadini libici hanno appoggiato Gheddafi. Sarà consentito loro di esprimere le proprie convinzioni politiche al momento delle prossime elezioni, anche se dovessero risultare maggioritarie?

Abbiamo già detto a tutte le autorità del CNT con cui parliamo costantemente che il processo politico da ora in avanti deve essere assolutamente inclusivo di tutte le componenti della società libica. La leadership di Bengasi ha promesso di voler allargare il CNT – e quindi il Governo provvisorio – anche ad elementi non troppo compromessi dell’ex regime di Gheddafi oltre che ai Berberi e ai rappresentanti di altri settori della popolazione.  La democrazia deve consentire a tutti di esprimere in modo pacifico le proprie opinioni e speriamo che cio’ possa avvenire presto anche in Libia. La mia sensazione è che i cittadini libici siano coscienti della nuova fase storica che si sta aprendo per il loro Paese e delle opportunità che un reale rinnovamento può offrire loro.

Da diverse parti è stato auspicato che Gheddafi sia processato all’Aia. Nel momento in cui a Tripoli si combatte ancora, non sarebbe più opportuno garantirgli l’impunità in cambio della resa?

Credo che il tempo del negoziato sia finito per Gheddafi, al quale sono state offerte molte opportunità di addivenire a un compromesso prima che iniziasse l’ultima, drammatica fase della liberazione del Paese. A questo punto, mi pare che la gravità dei crimini commessi dal Colonnello escluda ipso facto l’ipotesi di un’impunità. In merito alla sede giurisdizionale, la decisione di consegnare o meno il Colonnello e coloro che si sono macchiati di crimini contro l’umanità al Tribunale internazionale sarà presa dalle autorità libiche. Noi riteniamo che l’Aja sia l’ambito giusto per garantire un processo equo. La legittimazione internazionale ad agire per tutelare le popolazioni libiche contro il regime di Gheddafi nasce dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza che ho citato prima e il Tribunale dell’Aja è l’organo giudiziario delle Nazioni Unite deputato a giudicare i crimini contro l’umanità.

L’impegno militare italiano in Libia proseguirà anche dopo la liberazione di Tripoli? In quali forme?

Abbiamo già sul terreno a Bengasi un gruppo di esperti che sta collaborando con il CNT in alcuni settori per favorire la ricostruzione e rimettere in piedi l’economia libica. Speriamo di rivitalizzare al più presto il Trattato bilaterale del 2008 che prevede tutta una serie di interventi infrastrutturali, nel settore energetico, in quello delle telecomunicazioni e dell’emigrazione. A questo affiancheremo , se richiesti, l’addestramento della polizia e dei militari, settore nel quale abbiamo maturato una grande esperienza in altri teatri di crisi e che ci viene riconosciuta costantemente dai nostri partner internazionali. L’Italia è stata in prima linea ed ha offerto un contributo essenziale per l’abbattimento del regime di Gheddafi, sia sotto il profilo militare che civile. Posso dunque dire che l’impegno italiano proseguirà fino a quando le circostanze lo richiederanno e nelle forme che saranno definite di volta in volta a seconda delle esigenze manifestate dal nuovo governo libico.

Jibril si è recato prima in Francia e solo in un secondo momento in Italia. Nella nuova Libia, l’Italia conta di meno di quanto avvenisse con Gheddafi?

Nel giro di 24 ore Jibril si è recato sia in Francia che in Italia e posso assicurare che il nostro Paese ha un ruolo decisivo nel sostegno al CNT. Credo che l’ordine cronologico delle visite – in molti casi dettato da esigenze logistiche – non sia un criterio valido per determinare l’importanza dei Paesi nella Libia del post Gheddafi. Tutti sanno che l’Italia ha un’importanza fondamentale per questo Paese e tutti ce lo hanno riconosciuto. L’Italia non conta in Libia solo da qualche mese, ma in forza di una storia pluridecennale di amicizia politica, di scambi economici e di collaborazione internazionale che continueranno anche con il nascente governo.

Come valuta i risultati dei colloqui di Milano tra Berlusconi e Jibril?

Molto positivamente. L’Italia ha deciso di rendere disponibili 350 milioni di Euro dei fondi congelati nel nostro Paese da spendere per la rinascita del Paese. E’ una prima tranche che ci auguriamo sarà seguita da altre per ridare fiato alla società libica.
Più in generale sono state poste le basi per una collaborazione di ampio respiro nella nuova era post-Gheddafi che certamente pone sfide molto difficili ma che auspicabilmente potranno essere affrontate e superate insieme.

(Pietro Vernizzi)

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