Consentitemi di affrontare il tema delle rivoluzioni nel mondo arabo segnalando innanzitutto che il XXI secolo, influenzato dalla globalizzazione e dalla rivoluzione delle telecomunicazioni, avrebbe dovuto facilitare la strada, in tutto il mondo, alla diffusione di un sistema di buona governance. Molti Paesi in via di sviluppo, in Africa, Asia, America Latina, hanno raggiunto questo obiettivo o, quantomeno, lottano per raggiungerlo. Una stridente eccezione è rappresentata dalla Regione araba dove, in molti paesi dell’area, i popoli vivevano sotto regimi politici di indubbia durezza.
Le rivolte popolari in Medio Oriente e in Nord Africa hanno portato all’euforia della “Primavera Araba”, euforia che però oggi ha ceduto il passo all’angoscia: che cosa succederà in seguito? Come si evolveranno queste difficili fasi di transizione in Egitto e Tunisia? Come si concluderanno gli attuali eventi in Siria e in Libia? Quale sarà il ruolo delle varie parti politiche – i Liberali, gli Islamisti, ecc.?
I contorni della transizione in Tunisia e in Egitto – dove presto si terranno le elezioni – appaiono ancora vaghi. I regimi repressivi, corrotti e autoritari dei Presidenti Ben Alì e Hosni Mubarak sono stati spazzati via, grazie all’energia, alla passione e alla perseveranza delle generazioni più giovani, abituate al potere dei social network. Tuttavia, la costruzione di istituzioni democratiche e di nuove strutture (per la crescita, il benessere economico, l’istruzione e lo sviluppo) nonché di un reale stato di diritto rappresenta una grande sfida che richiederà tempo, impegno e dedizione.
I movimenti sbocciati durante la “Primavera Araba” in Yemen, Siria e Libia non hanno avuto la stessa evoluzione di quelli nati in Egitto e in Tunisia; dunque, in queste aree la transizione democratica non potrà avvenire a breve, in quanto tali movimenti dovranno dimostrarsi capaci di essere permanenti nel tempo. In Libia, abbiamo assistito a importanti sviluppi, successivi alla creazione di una “zona di non sorvolo” decretata dalla risoluzione 1972 delle Nazioni Unite. I manifestanti sono, finalmente e meritatamente, vicini all’esautorazione dell’oppressore degli ultimi quarant’anni della storia libica, e stanno già affrontando le pesanti sfide legate al periodo immediatamente successivo alla liberazione del Paese.
In Siria, la situazione è diversa. La sua posizione strategica e la prospettiva di lotte ed estremismi di stampo settario richiedono l’adozione di una diversa impostazione, quale quella di far ricorso a sanzioni unilaterali imposte dagli Stati Uniti e sostenute dall’Unione Europea. A tal proposito, occorre però registrare un fatto ulteriore: le prese di posizione più severe che sono state assunte da altri Paesi arabi dell’area. L’ingresso della “Primavera Araba” nel suo ottavo mese di vita determina un impatto, un confronto sia con importanti sfide sia con nuove opportunità. L’ondata democratica ha già cominciato a mutare i contorni del panorama politico del Medio Oriente.
Alcuni aspetti della “Primavera Araba” e le conseguenti implicazioni per la stabilità nel Mediterraneo non possono essere pienamente colti se non vengono collocati in una prospettiva storica. Sebbene le radici affondino in un passato più remoto, gli anni fra il 1945 e il 1948 sono stati particolarmente critici, proprio nel momento in cui la democratizzazione costituiva una forte aspirazione del mondo arabo. A onor del vero, alcune potenze occidentali, quantunque in modo diverso, non hanno osteggiato il processo.
Tuttavia, l’Occidente ha fallito sotto tre punti vista: innanzitutto, non si è rivelato sufficientemente attento alle complesse dinamiche socio-economiche allora prevalenti nelle società arabe. In secondo luogo, ha adottato un’impostazione “cospiratoria” nei confronti della Palestina (e, a tale riguardo, è superfluo ricordare i noti eventi che hanno preceduto la creazione dello Stato di Israele nel 1948). Infine, la spinta occidentale a favore di un’alleanza militare in Medio Oriente è stata accompagnata da condizioni inaccettabili per i Paesi arabi impegnati sulla via delle riforme e del progresso.
La stagione rivoluzionaria del mondo arabo è stata ribattezzata “la Primavera Araba”. La primavera in Egitto è la stagione delle tempeste di sabbia; per questo motivo, è considerata una stagione tutt’altro che piacevole, con il suo carico di problemi capaci di rallentare il progredire del processo, ma impotenti nel bloccarne l’inevitabile flusso (o arrestare la ricerca della democrazia, nell’ipotesi “politica”). Oggi stiamo assistendo alla rinascita del nazionalismo sulla base di un orgoglio nuovamente ritrovato. L’Egitto democratico riaffermerà la sua influenza in quanto solido partner nel Medio Oriente.
Tale processo si manifesta in quanto parte di un “risveglio politico globale” – un movimento per il cambiamento, reso possibile e anzi accelerato dalla moderna tecnologia, comparabile con altri periodi di trasformazione rivoluzionaria che hanno segnato la storia moderna. Il “gioco” che si svolge oggi nel mondo arabo si chiama cambiamento. Man a mano che la “Primavera Araba” avanza, anche se con velocità diverse nei vari Paesi, i governi dell’area dovranno attuare autentiche riforme. Gli arabi meritano libertà, sicurezza e prosperità, accompagnate da giustizia e sviluppo sociale. L’era della democrazia porta con sé la promessa di dare al mondo arabo la possibilità di essere artefice delle proprie azioni; e permetterà altresì di sviluppare un nuovo paradigma nei suoi rapporti con l’Occidente, basati sull’uguaglianza e sul partenariato.
L’Egitto svolge un ruolo particolarmente decisivo nel quadro complessivo. La sua popolazione rappresenta circa il 25% della popolazione totale del mondo arabo e, per gran parte del XX secolo, è stato il motore della modernizzazione dell’area. Se la democrazia riuscirà ad imporsi in Egitto, anche altri Paesi seguiranno la stessa strada. Se, invece, l’esperimento democratico dovesse fallire per opera delle forze anti-democratiche, allora la rivoluzione non sarà riuscita a raggiungere il suo scopo: dar vita a un sistema democratico. L’Egitto post-rivoluzionario ha urgente bisogno di rafforzare la sua economia e di ripristinare la sicurezza generale. Entrambe le esigenze sono vitali per un successo durevole della rivoluzione.
La “Primavera Araba” in Tunisia, in Egitto e negli altri Paesi continuerà a dover affrontare problemi scottanti. La Libia, lo Yemen e la Siria rappresentano sfide uniche, ma la strada verso le riforme sembra inevitabile. Ciascuno di questi Paesi si muoverà secondo i propri ritmi, ma tutti avranno bisogno di una politica economica internazionale che dia sostegno alle loro aspirazioni politiche in questa fase di grandi trasformazioni. Da qui la necessità di una nuova partnership euro-araba per una democratizzazione fondata su un sostegno alle loro rivendicazioni.
Nella fase di progressiva costruzione di istituzioni democratiche, la comunità internazionale può sostenere la “Primavera Araba” scegliendo, rispetto al conflitto arabo-israeliano in essere, di contribuire agli sforzi per risolverlo piuttosto che impegnarsi per gestirlo. Oggi, è imperativo farlo cessare, in modo che Israeliani e Palestinesi possano finalmente vivere in pace e sicurezza.
Per circa 20 anni gli sforzi negoziali fra Israeliani e Palestinesi sono stati frustrati dal rifiuto categorico di Israele di recedere dalle sue posizioni su questioni fondamentali. Riprendere il negoziato, partendo dallo stesso punto iniziale, significa esporsi a un fallimento annunciato. La strategia israeliana consiste nel perdere tempo – o guadagnarlo, secondo i punti di vista – per cambiare sistematicamente i dati di fatto, violando il diritto internazionale, e rendere così la creazione di uno Stato palestinese sostenibile praticamente impossibile.
La “Primavera Araba” ha acceso i riflettori su una nascente opinione pubblica araba che è riuscita a liberarsi dal giogo dei suoi governanti: soltanto una soluzione equa, duratura e globale del conflitto arabo-israeliano potrà calmare la sua crescente rabbia e soddisfare così la sua ricerca di pace.
L’accordo di riconciliazione nazionale raggiunto in Palestina tra Fatah e Hamas, firmato in Egitto il 3 marzo, è uno dei principali risultati in questa moltitudine di cambiamenti. Altri sviluppi sostanziali certamente seguiranno. Ai Palestinesi deve essere offerta una nuova opportunità, capace di ricondurli a un tavolo negoziale realmente finalizzato alla composizione del conflitto in essere, sulla base di una soluzione che preveda la creazione di due Stati.
La comunità internazionale deve sostenere e riconoscere la richiesta palestinese rivolta alle Nazioni Unite, che aprirebbe la strada a una soluzione accettata a livello internazionale: la creazione di due Stati, nati lo stesso giorno . il 29 novembre 1947 . data della Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU.
Cercare di risolvere il conflitto arabo-israeliano potrebbe sostenere la “Primavera Araba” nel suo sforzo di democratizzazione e potrebbe costituire un modello di democrazia da esportare in tutta la Regione araba. Il mondo arabo ribadisce fermamente la sua offerta di pace, come del resto si evince dall’Iniziativa Araba di Pace.