«Il Consiglio nazionale di transizione libico è stato appoggiato fino a oggi dalla comunità internazionale che prevede una Corte penale che dovrebbe giudicare Gheddafi e le sue azioni, mentre quello a cui stiamo assistendo in Libia è l’evoluzione di quello che già ci aspettavamo, ossia gruppi ribelli che operano con la legge del taglione, la stessa che hanno applicato avanzando verso Tripoli, in alcuni villaggi considerati lealisti e contro alcune sacche di resistenza di Gheddafi. Abbiamo quindi avuto la conferma della loro volontà di agire in questo modo contro Gheddafi, ignorando la Corte internazionale che dovrebbe giudicare i suoi crimini e le sue responsabilità».



IlSussidiario.net ha chiesto a Gian Micalessin, corrispondente dalle zone di guerra, un commento sugli ultimi sviluppi della situazione libica, a partire dalla volontà del Cnt di respingere con decisione l’ipotesi dell’intervento di una forza di pace delle Nazioni Unite, e dalla dichiarazione del colonnello Hisham Buhagia, comandante delle truppe ribelli, secondo cui il numero delle vittime dei combattimenti sarebbe di 50mila persone: «Penso che gli aerei della Nato abbiano applicato con estrema precisione le regole di ingaggio previste in zone di bombardamento dove sono presenti anche molti civili. È necessario invece capire chi abbia fornito le indicazioni sui bersagli da bombardare, perché se a farlo erano i ribelli, allora questo può anche aver provocato degli errori. Nelle prime fasi dei combattimenti, spesso i ribelli non riuscivano a coordinarsi con la Nato e si facevano addirittura colpire dai loro stessi aerei impegnati nell’attacco».



Come commenta la decisione dell’Algeria di chiudere la frontiera sud-orientale, cioè il settore meridionale del confine che per centinaia di chilometri condivide con la Libia?

L’Algeria ha detto oggi di aver chiuso i confini, ma questi sono stati apertissimi per tutta la durata del conflitto. Si tratta di frontiere attraverso cui, in nome della vecchia amicizia tra regime libico e algerino, sono passate armi e munizioni che hanno rifornito Gheddafi e a cui hanno permesso di resistere. Da quei confini è passata anche la famiglia del raìs, la moglie e almeno tre figli. La comunicazione di aver chiuso la frontiera è anche frutto dell’imbarazzo politico dell’Algeria rispetto al coro di proteste che si è sollevato da parte della Francia e dei ribelli per aver accolto i familiari di Gheddafi, ma è chiaro che una frontiera che passa nel mezzo del Sahara non può essere né chiusa né controllata, per cui resta a disposizione di chiunque possa influire sugli assetti futuri della Libia.



Come cambieranno ora le posizioni di Italia e Francia?

Ancora non possiamo saperlo con certezza, ma sappiamo come è cambiata nel corso del conflitto: l’Italia si è trovata dalla parte della coalizione, perché all’inizio del conflitto eravamo completamente spiazzati dalla debolezza della nostra leadership politica e per il fatto che Gheddafi, ormai distrutto politicamente, era indifendibile. Così abbiamo stretto degli accordi con i ribelli di Bengasi e probabilmente in futuro potremmo ancora avere influenza. La Francia ne esce invece anche più avvantaggiata, perché è la nazione che praticamente ha condotto il conflitto, ma sarà quindi anche la più responsabile per un’eventuale  fallimento dei ribelli o per una loro incapacità di creare una vera unità.

Il ministro Frattini ha confermato la proroga della missione militare in Libia fino a fine settembre. Quanto è stato decisivo l’intervento italiano?

Almeno da quello che traspare, non credo che l’intervento italiano sia stato così decisivo: abbiamo fornito una dozzina di consiglieri militari che hanno operato, secondo fonti ufficiali italiane, a Bengasi, ma avrebbero svolto solo compiti di addestramento, mentre i nostri aerei si sono limitati a  qualche raro bombardamento. Penso quindi che la nostra partecipazione alle missioni continuerà ad essere più formale che fattuale.

Sembra che l’Iran stia aprendo una nuova era nei rapporti con la Libia liberata, e che tra i due paesi siano in corso contatti bilaterali. Cosa ne pensa?

Non dimentichiamo che il numero due di Al Qaeda intercettato e ucciso alcuni giorni fa da un drone americano in Pakistan, era anche considerato l’ambasciatore di Al Qaeda in Iran, quindi era l’uomo che dopo la caduta del regime talebano in Afghanistan aveva guidato i reduci di Al Qaeda, a cui è stato offerto rifugio in alcune zone remote dell’Iran. È chiaro che c’è questo rapporto con alcuni degli ex componenti del cosiddetto Gruppo Islamico Combattente che sono presenti, occupando anche posizioni di rilievo, all’interno del Consiglio nazionale transitorio, ed è infatti un altro motivo di preoccupazione per quello che riguarda il futuro del paese.

Come sarà secondo lei la nuova Libia?

È difficile rispondere adesso: innanzitutto bisogna vedere se esisterà o se invece non si frantumerà in quelle due zone, Cirenaica e Tripolitania, che vennero unite di fatto solo dopo l’occupazione italiana del 1911. D’altra parte bisogna vedere quanto il Consiglio di transizione sarà in grado di esercitare il proprio controllo su un paese dove le armi circolano liberamente, dove gli arsenali di Gheddafi sono stati razziati e fuori controllo, e dove ci sono intere zone in cui le tribù non hanno nessuna intenzione di riconoscere l’autorità del Cnt. Basti pensare che questa autorità non viene riconosciuta neanche da qualche componente interno del Cnt, quindi il primo grande interrogativo è quanto la Libia riuscirà a darsi un assetto unitario, senza continuare ad essere un paese diviso in fazioni e tribù.

 

(Claudio Perlini)