Esattamente dieci anni fa il terrorismo di matrice islamica dichiarava guerra al mondo, colpendo le Torri Gemelle. Poco dopo, l’America e il mondo  occidentale rispondevano all’attacco, inaugurando, invischiandosi  in una guerra anomala, con nemici sconosciuti e invisibili, presenti, potenzialmente, in ogni Nazione del mondo. Chi ha vinto? «Il terrorismo non può essere vinto è un fenomeno strutturale ad ogni società, in ogni periodo. Ciò che, invece, è stato vinto dall’occidente è il grande terrorismo transnazionale; quello dotato di ingenti capitali, capacità tecniche, uomini addestrati e in grado di concepire un attacco come quello alle Torri», spiega, interpellato da ilSussidiario.net Carlo Jean, ex generale ed esperto di strategia militare. Mentre l’America celebra i suoi morti, a Ground Zero, dove un tempo sorgevano le Twin Towers, ci si domanda se le nostre strade, le nostre case e le nostre chiese, i posti dove lavoriamo e in cui scorre la nostra esistenza siano al riparo da una ferocia analoga. Per rispondere, sono necessarie alcune premesse: «Al Qaeda è stata, in qualche modo, battuta – dice Jean -. Attualmente l’organizzazione si è frantumata in una serie di componenti ragionali. Al-Qaeda Organization in the Islamic Maghreb, ad esempio si è ridotta a 500 combattenti circa; stanno sorgendo, tuttavia, nuovi movimenti come le Corti somale o nigeriane». Ma la differenza rispetto al modello di stampo mondiale è evidente: «non interessa loro coinvolgere l’Occidente, hanno obiettivi limitati, di carattere locale, nazionale ed etnico. Spesso esprimono la frustrazione nei confronti di governi ritenuti eccessivamente laici». Lo scenario, quindi, rispetto a dieci anni fa è profondamente cambiato. In Italia, tuttavia, il pericolo attentati non è scongiurato del tutto. «Non è detto che terroristi singoli, i cosiddetti lupi solitari,  o i terroristi “dagli occhi azzurri”, gli europei che si sono convertiti all’islam radicale non possano provocare degli attentati, magari durante una partita di calcio». Il pensiero, corre subito a Breivik, il 32enne filonazista che riuscì, a distanza di poche ore, a compiere ben due stragi. E a sparare, indisturbato, per 90 minuti sui giovani laburisti dell’isola di Utoya. «Non c’è paragone – spiega Jean -, i nostri poliziotti e carabinieri sarebbero stati estremamente più reattivi. I nostri servizi di intelligence, inoltre, stanno facendo un lavoro eccellente: hanno infiltrati, controllano le comunicazioni, dei cellulari e delle mail, e si avvalgono della collaborazione di carattere internazionale».



Anche se, su quest’ultimo strumento, allo stato attuale, vige una sorta di incertezza. «Prima delle primavere arabe, il quadro – entro certi limiti – era tenuto molto più sotto controllo. C’era infatti una forte collaborazione tra i nostri servizi e quelli dei Paesi arabi. Ora bisogna attendere che gli eventi si stabilizzino per capire come si svilupperanno i rapporti reciproci. Laddove si verificasse un’evoluzione democratica, la collaborazione si potrebbe rafforzare». La cooperazione è per noi fondamentale: «solo i paesi arabi sono in grado, infatti, di infiltrare, tra le fila dei terroristi, personale che svolga un servizio informativo». In attesa che lo scenario si definisca, l’allerta potrebbe lievemente salire. Anche se, attualmente, siamo a livelli relativamente tranquilli». Salvo l’insorgere, col trascorrere degli anni, di un problema non da poco: «la popolazione islamica è aumentata esponenzialmente e con le istituzioni che le rappresentano non c’è una collaborazione completa». In ogni caso, siamo piuttosto navigati: «abbiamo dovuto fronteggiare le Brigate rosse e il terrorismo arabo-palestinese. I nostri servizi sono estremamente affinati al riguardo». Oggi, crollate le grandi strutture del terrorismo internazionale, chi vuol fare un attentato si trova sovente i difficoltà. «I terroristi “fai da te” – continua Jean – non trovano nessuno che li possa addestrare. E, dalla pianificazione di un attacco al momento dell’attacco stesso, compiono una serie di errori e ingenuità che consento alle nostre forze dell’ordine di fermarlo prima che porti a termine i suoi piani».



 

(Paolo Nessi)

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