Carlo Pelanda è a “casa sua”, ad Atlanta, vicino al Campus di Athens dove insegna Politica ed Economia internazionale all’Università della Georgia. Gentile, cortese, informatissimo sulle cose americane ha sentito, non ascoltato direttamente, il discorso del Presidente americano Barack Obama dal Rose Garden della Casa Bianca. E’ “politicamente scorretto” il professor Carlo Pelanda e prima di incominicaire a rispondere e spiegare dice: “Aspetti che mi accendo una sigaretta”. Poi parte in quarta.
Professor Pelanda, Obama, nel giro di dieci giorni ha presentato un “pacchetto pesante”: 447 miliardi dollari per rilanciare l’occupazione negli Stati Uniti; la riduzione del debito di 4 trilioni dollari in dieci anni; la tassazione dei ricchi, diciamo così per semplificare. Lei pensa che, con i rapporti forza esistenti nella politica americana, questi provvedimenti passeranno?
Sui quattrocento miliardi di dollari ci saranno delle opposizioni dei repubblicani. Ne accetterano probabilmente la metà, poi discuteranno sul resto e difficilmente lasceranno strada libera a Obama. E’ difficile che i repubblicani accettino, in linea di principio, anche un un aumento delle tasse. Ma qui Obama, da un punto di vista retorico, è stato abile. Ha fatto un collegamento con la lettera di Warren Buffet, dove si dice che i ricchi negli Stati Uniti riescono a pagare meno dei loro dipendenti. E’ possibile che una tassazione mirata ai personaggi più ricchi possa passare, che gli stessi repubblicani, in qualche modo, la facciano passare. In questo modo il presidente potrebbe recuperare un trilione e mezzo di dollari in dieci anni.
Ma per arrivare a quattro come fa? Dove taglia?
Tenga presente che è un programma, appunto, di dieci anni, cioè un programma lungo. Chissà se ci saranno e ci saremo anche noi, ancora in vita tra dieci anni.
Io penso che i repubblicani apriranno invece una discussione serrata sui tagli di spesa. Se per caso Obama tocca le spese della difesa, non passa nulla. Poi i repubblicani controbatteranno partendo dal principio che gli Stati Uniti sono il Paese delle opportunità, non un Paese socialista. Quindi chideranno di finanziare attività, cioè di promuovere la crescita. E questo è un Paese fatto per la crescita.
Su questo punto Obama è vulnerabile. Se non c’è crescita, gli faranno notare, non siamo l’America. E’ questo che si aspettano anche gli elettori americani. Quindi i repubblicani insisteranno per tagliare gli apparati, per liberare da lacci e lacciuoli le attività produttive. Credo che i repubblicani non si barricheranno comunque dietro a un “partito del no”. Vorranno invece mettere alla prova le capacità di Obama.
Bisognerà vedere anche i sondaggi e le risposte dell’opinione pubblica. Ma sostanzialmente i repubblicani cercheranno di inchiodare Obama a un concetto di America che, con la sua presidenza, non esiste più e cercheranno di logorarlo ulteriormente per diminuirne ancora di più la già compromessa popolarità.
Ma in se stessa, quella che possiamo chiamare la manovra di Obama, lei come la giudica?
A mio avviso questa manovra, se così vogliamo chiamarla, è ricca di un patetico nominalismo. Obama deve rivolgersi ai mercati, cercando di convincerli che l’America è in grado di ridurre il suo debito, rassicurando anche le agenzie di rating, e di ripartire. Cerca di dirlo in modo compatibile alle esigenze del suo elettorato.
L’interesse dei repubblicani è quello di logorarlo, per arrivare alla vigilia delle elezioni del prossimo anno in modo ancora più sicuro di vincerle e di battere Obama.
Per cui la scelta di non fare il “partito del no” è quella di accompagnare il Presidente su alcune misure che adotta per dimostrare la sua incapacità e la sua incompetenza, che pare già conclamata da numerosi sondaggi. Si scriverà un giorno a quale guerra civile finanziaria è legata l’elezione di Obama alla Casa Bianca.
Ma come reagiranno i mercati a questa operazione che tenta Obama?
Andando un po’ su e un po’ giù. Non si dovrebbe scontare una catastrofe, anche se i numeri sono veramente gravi, e non ci sarà una ripresa rapida. Diciamo che per circa sei mesi si andrà su un saliscendi, magari con valori inferiori a quelli attuali.
Perchè lei parla di sei mesi, ci troveremmo a marzo, aprile del 2012?
A quel punto, in quel periodo del 2012, se ci sarà un candidato repubblicano per la Casa Bianca credibile (tra un pò vedremo se sarà Mitt Romney, Rick Perry, o qualcun altro ancora) Barack Obama va sicuramente incontro a una sconfitta, già preventivamente annunciata. A questo punto i mercati vanno a rally, cominciano a salire. Il ballo comincia ad aprile. Il calcolo che alcuni fanno è che, con la sconfitta di Obama e con le potenzialità di crescita degli Stati Uniti, il pil americano salirà del 5 percento per tre anni di fila.
Si uscirà dalla crisi. La guerra civile nel mondo della finanza, di cui si accennava prima, adesso è finita, Gli stessi consiglieri economici di Obama hanno cominciato a defilarsi dal Presidente, che resta quasi una figura impaurita e solitaria.
Ma tutto questo che ripercussioni avrà sull’Italia?
Io credo che se noi ripartiamo nel 2013 l’Italia si salva. Noi siamo legati agli Stati Uniti, dipendiamo molto dalle sorti degli Stati Uniti. Il problema per l’Italia è soprattutto di carattere politico. Maggioranza e opposizione si equivalgono sul piano della non credibilità assoluta. Per questa ragione governa la Banca centrale europea e in ultima analisi la Germania. L’Italia ha la possibilità e la capacità di ripartire.
Anche i sociologi che dicono che è diventata una società liquida sbagliano. L’Italia è ancora una società ben strutturata, con buone scorte di risparmio. Occorre che cambi il personale politico. Diciamo che la crisi del debito fa terminare, finire definitivamente, una modalità politica.
Sarà un futuro nell’euro o fuori dall’euro?
L’Italia ha vantaggi e svantaggi dall’uscita dell’euro. La moneta unica è sostenuta da due terzi dell’establishment europeo e osteggiata da un terzo. Bisogna vedere come va a finire e indubbiamente la Germania giuoca la parte forse più importante in questa decisione.
Ma in Italia il discorso di fondo resta sempre la politica, la non credibilità dell’attuale classe dirigente politica sia di maggioranza che di opposizione. Qui sta il vero problema. O si cambia o si va a picco.
Non riescono a capire che un Paese funziona quando un governo fa poche leggi e accompagna lo sviluppo economico e sociale. Non l’hanno capito ancora dopo tutti questi anni, E’ per questa ragione che un’agenzia di rating come Moody’s sospende il giudizio sull’Italia ancora per un mese.
(Gianluigi Da Rold)