Cina. Protesta in Tibet: due monaci si danno fuoco – A partire dal 2008, in occasione delle olimpiadi di Pechino, è stata portata all’attenzione dei media occidentali la repressione religiosa operata dal governo cinese ai danni dei monaci tibetani ma, ancora oggi, risulta difficile ai più comprendere le ragioni di questa tensione che ieri (26 settembre) è culminata nuovamente in tragedia quando due giovani buddisti, Kelsang e Kunchak, appartenenti al monastero di Kirti, hanno deciso di darsi fuoco per rivendicare la libertà religiosa nel loro paese. L’episodio di protesta si inserisce in una lunga serie di vicende precedenti, di cui l’ultima, avvenuta sei mesi fa, aveva visto la morte del ventunenne Phuntsog anche lui datosi fuoco. Al momento non si conoscono con esattezza le condizioni di salute dei monaci entrambi diciottenni, alcune fonti asseriscono che i due avrebbero riportato solo “leggere ustioni” mentre altre, ben più preoccupanti, riferiscono della morte di uno e di “gravissime condizioni” dell’altro.
Ma cos’è che teme il governo di Pechino in una religione che professa nel suo dna la non violenza e cos’è che spinge questi monaci di natura pacifica a resistere fino alla morte?
Secondo la filosofia buddista le molteplici reincarnazioni dell’uomo sulla terra rappresentano la strada attraverso cui si può giungere alla propria liberazione, al fine di disancorarsi dalle maglie dell’essere del mondo reale, percepito come illusorio e perciò fonte di contrasto e dolore. Questo è il fine di ogni essere senziente e può essere conseguito solamente attraverso l’apprendimento del Dharma o legge cosmica. Non a tutti è tuttavia dato di apprendere in maniera spontanea e autonoma tali insegnamenti ma solo ad alcune menti illuminate chiamate appunto Bodhisattva (essere illuminazione). Il compito dei Bodhisattva consiste nello scegliere liberamente di reincarnarsi, pur potendo già raggiungere la liberazione, al fine di insegnare il Dharma a tutti gli altri esseri senzienti permettendo così il cammino di tutti. Le incarnazioni dei Bodhisattva sono, nel buddismo tibetano, appunto il Dalai Lama e il Panchen Lama spesso rappresentati come sole e luna. Oltre ad insegnare i due hanno il compito di cercare l’uno l’incarnazione dell’altro, quindi solo il Panchen Lama è legittimato ad indicare il futuro Dalai Lama e viceversa. Essi rappresentano per il popolo tibetano l’unica possibilità per il genere umano di raggiungere la via dell’illuminazione prima e la liberazione poi.
Il governo cinese vorrebbe invece arrogare a sé il diritto di nomina di queste due importanti cariche religiose, per poter avere una presa diretta sul popolo che governa. Per questo motivo l’establishment pechinese fece rapire nel 95 Gedhun Choekyi Nyima, il bambino di cinque anni riconosciuto dal Dalai Lama come XI Panchen Lama e ne nominò un altro non riconosciuto.
Quello a cui si assiste oggi è uno scontro inusuale per il mondo occidentale, non è propriamente una “guerra di potere”, a cui tanto siamo abituati, ma è piuttosto una “battaglia ideale”, una battaglia che deve decidere se v’è qualcosa nel cuore dell’uomo a cui il potere temporale non sia in grado di rispondere.