Il Consiglio nazionale di transizione libico annuncia una roadmap. Di cosa si tratta? Di un piano per portare la Libia a una situazione di governabilità: una assemblea costituente fra otto mesi e elezioni presidenziali fra venti giorni. Un piano ambizioso senza dubbio vista la situazione critica ancora in corso. Fausto Biloslavo, corrispondente di guerra intervistato da IlSussidiario.net, sorride  davanti a tal annuncio: “Vedo la cosa molto improbabile” dice. “La Libia intanto non è ancora completamente sotto controllo dei ribelli, ma non è solo questo il fatto che rende improbabile arrivare a elezioni presidenziali fra venti giorni soltanto”. Qual è l’altro fattore, Biloslavo? “Ma è la consistenza stessa delle forze ribelli, una realtà magmatica, divisa al suo interno per campanilismo aperto fra i ribelli della Cirenaica, quelli delle montagne, quelli di Tripoli, quelli di Misurata. Mi domando poi quali formazioni politiche correranno al voto, chi saranno i candidati, vista la presenza di gruppi politici, ideologici e religiosi più o meno estremisti”. Quindi? “Questa roadmap la vedo come impresa piuttosto dura da realizzare. Però lasciamo tempo al tempo e vediamo cosa riusciranno a fare”.



C’è una forza politica attualmente che lei vede in vantaggio rispetto ad altre? “Il partito dei Fratelli musulmani è sicuramente una forza rilevante. Sono appena potuti tornare dall’esilio e stanno già organizzando il primo congresso. Sono una forza molto forte, molto radicata e non solo in Libia, pensiamo all’Egitto. Stiamo a vedere. Il capo del Cnt, Mustafa Abdel Jali, ha detto che le forze islamiche, chiamiamoli partiti religiosi, hanno accettato il voto democratico. Vediamo se sarà così”. A proposito di probabili candidati al ruolo di leader della nuova Libia, l’attuale governatore militare di Tripoli, Abdel al-Hakim Belhaji, è un personaggio sicuramente di primo piano, ma altrettanto inquietante: “Ah certamente” sottolinea Biloslavo. “E’ un personaggio molto conosciuto, non solo il fondatore del Gruppo combattente islamico”.



Che avrebbe avuto contatti diretti in passato con Osama bin Laden: “Assolutamente. Quando andai in Afghanistan nel 2001 trovai volantini e pamphlet della sua organizzazione nei campi di addestramento di Al Qaeda. Però è vero che già nel 2000 Belhaji rifiutò di combattere insieme a bin Laden, dicendosi contrario ad attacchi a cristiani ed ebrei”. Dunque che personaggio è? “Ha una storia molto particolare. Tentò per ben tre volte di uccidere Gheddafi, poi fu catturato in Malesia dalla Cia e consegnato allo stesso Gheddafi che lo rinchiuse per anni in un vero e proprio buco, in carcere. In modo curioso, cosa che forse non molti sanno, circa sei mesi fa all’inizio delle rivolte, venne liberato da uno dei figli, che io chiamo il figlio intelligente, di Gheddafi,  Saif Al Islam”.



Come mai lo liberò? “Perché in quel particolare momento riteneva così di ottenere l’appoggio del Gruppo islamico combattente, che di fatto comunque non esisteva già più. In ogni caso si rivelò una mossa controproducente perché è stato proprio Belhaji a guidare l’attacco finale e decisivo su Tripoli. D’altro canto i suoi combattenti erano di gran lunga la forza ribelle più addestrata e preparata militarmente. Bisogna dire che ebbe anche un forte appoggio militare da parte della Cia, gli stessi che anni fa lo avevano catturato e consegnato a Gheddafi”. La presenza di personaggi come questo all’interno del Cnt non getta un’ombra inquietante sul futuro della Libia? “Anche qui bisogna stare a vedere. I casi sono due: o gli americani, come spesso hanno fatto, hanno puntato sul cavallo sbagliato, oppure anche personaggi come questo si stanno rendendo conto che siamo nel 2011, a dieci anni dal 2001 e che le cose sono cambiate, non è più il tempo per certi gruppi clandestini combattenti come lo era il suo”.