Gerusalemme. Nei giorni scorsi la polizia ha arrestato un ebreo ultraortodosso accusato da una soldatessa di averla insultata perché si era seduta accanto ad alcuni uomini su un autobus. Di lì a poco la foto dei bambini vestiti come prigionieri di Auschwitz in segno di protesta avrebbero fatto il giro del mondo. Gli episodi dei giorni scorsi hanno insomma riportato – e succede ciclicamente – l’attenzione del mondo sulla realtà degli ebrei ultraortodossi in terra d’Israele. Questi ebrei, rintracciabili solo in alcuni quartieri gelosamente protetti della Città Santa, costituiscono una piccola – ma significativa – fetta della società israeliana: generalmente non lavorano, non prestano il servizio militare e operano una netta distinzione tra uomini e donne nei posti pubblici. Mettono la Torah a guida suprema della loro vita, e scelgono di meditarla continuamente.
Per questo motivo vengono mantenuti dallo Stato e in alcuni casi hanno a disposizione anche alcuni pullman interamente per loro. Mezzi pubblici che seguono un percorso atipico per non mescolarsi agli altri. Zone franche dove ogni capriccio diventa legge. In generale godono di parecchi privilegi in una società ormai sempre più secolarizzata. Anzi, spesso si accaparrano anche il diritto di insultare una donna che si è seduta dove “non avrebbe dovuto” e di mettere in scena una strumentalizzazione così bassa dell’Olocausto che per molto meno alcuni sono stati cacciati dal paese.
Ciò nonostante, il governo continua a tollerare e – di fatto – a mantenere le richieste di questa piccola fetta di società, che, seppur piccola, conta al suo interno diversi correnti. Ad animare la schiera dei fondamentalisti religiosi ci sono quelli che rifiutano lo Stato d’Israele (intuizione del laico David Ben Gurion), mentre i più moderati prestano addirittura servizio nell’esercito (a patto di non essere comandati da donne ufficiali). Mentre i protagonisti dei giorni scorsi sono quelli che – per intenderci – espongono la bandiera della Palestina sul balcone di casa propria, e non è un mistero che tra di loro si celi anche chi accetta di collaborare con l’Autorità Palestinese per boicottare il progetto sionista. “Pagati”, direbbe Sgarbi. “Parassiti”, si sente invece passeggiando per le vie di Gerusalemme.
Non cambia molto, comunque. E non sono più un mistero le motivazioni che hanno spinto quella soldatessa a sedersi in un posto riservato agli uomini. “Se l’è andata a cercare”, dicono. Già, perché la soldatessa sapeva di trovarsi su un pullman frequentato solo dagli ultraortodossi e senza paura ha sfidato la sorte. Certa di una nazione che l’avrebbe subito difesa. Israele, da quando ha abbandonato il suo sentimento religioso, preferisce schierarsi con l’esercito, che – se non altro – infonde sicurezza. Un coro di voci si è dunque scagliato contro gli integralisti, ma il giorno dopo è tornato tutto come prima: gli autobus sono tornati a girare e i giornali si sono messi presto a parlare d’altro.
Questo tira e molla tra i gruppi ultraortodossi e Israele dura dal 1948. Cioè da quando bisogna votare per eleggere un governo. Destra e sinistra sono sempre in cerca di un pugno di voti. E con buona pace di tutti, la carta che fa vincere le elezioni viene pescata dal mazzo degli ultraortodossi, puntualmente l’ago della bilancia. Nonostante il loro dichiarato antisionismo, la maggior parte si reca alle urne e vantano anche una rappresentanza alla Knesset.
Forse è per questo che gli ultraortodossi possono permettersi di dar vita a proteste di cattivo gusto sull’olocausto, di attaccare continuamente chi gli dà da mangiare, e di essere coccolati e viziati: anche Gerusalemme val bene una “messa”. Per tutti, destra e sinistra.