“È proprio necessario che le cose cambino… Il vostro (Haiti) è un bel Paese, ricco di risorse umane. E si può parlare  di un sentimento religioso innato e generoso, della vitalità e del carattere popolare della Chiesa. Occorre che i ‘poveri’ di tutti i tipi riprendano a sperare. C’è infatti certo un profondo bisogno di giustizia, di una migliore distribuzione dei beni, di una organizzazione più equa della società, con una maggiore partecipazione, una concezione più disinteressata del servizio da parte di tutti coloro che hanno delle responsabilità; c’è il desiderio legittimo, per i mass media e la politica, di una libera espressione che rispetti le opinioni degli altri e il bene comune; c’è bisogno di un più libero e facile accesso ai beni e ai servizi che non possono restare appannaggio di qualcuno: per esempio la possibilità di mangiare a sufficienza e di essere curati, l’abitazione, la scolarizzazione, la vittoria sull’analfabetismo, un lavoro onesto e dignitoso, la sicurezza sociale, il rispetto delle responsabilità familiari e dei diritti fondamentali dell’uomo. In breve, tutto ciò che fa sì che l’uomo e la donna, i bambini e gli anziani conducano una vita veramente umana. Non si tratta di sognare ricchezze o società dei consumi, ma si tratta, per tutti, di un livello di vita degna della persona umana, dei figli e delle figlie di Dio. E tutto questo non è impossibile se tutte le forze vive del Paese si uniscono in un medesimo sforzo, contando anche sulla solidarietà internazionale che è sempre auspicabile”.
Sembrano scritte oggi, a 2 anni di distanza dal devastante terremoto che ha ucciso 230mila persone e messo per strada altre 600mila, all’inizio del mandato di un Presidente eletto e di un governo nuovo, e invece sono parole pronunciate dal Beato Giovanni Paolo II a Port au Prince il 9 marzo 1983, alla chiusura del Congresso Eucaristico che aveva come tema “Bisogna che qui qualche cosa cambi”.
Da allora, sicuramente qualcosa è cambiato, molto più in questi ultimi due anni che non in quelli precedenti. Una capitale da ricostruire, insieme a maggiore libertà, a maggiore consapevolezza, a una forte (forse troppo) presenza della comunità internazionale.



Sulle ceneri di una catastrofe senza precedenti, si leggono oggi imponenti programmi per il futuro. Tra le grandi sfide che si è trovato di fronte dopo l’elezione e la lunga gestazione del governo, il presidente Michel Martelly ne ha scelte due, decisamente prioritarie: l’educazione e il lavoro.

Nel recente forum organizzato dalla Banca Interamericana di Sviluppo sugli investimenti in Haiti, si è parlato di grandi opere, di insediamenti di gruppi industriali, di turismo e infrastrutture. Per generare posti di lavoro, obiettivo 500mila. Contemporaneamente, si persegue il programma di scolarizzazione dei bambini, con la leadership della Banca Mondiale e di altre organizzazioni.



Certamente uno sforzo da appoggiare senza indugio, anche se la comunità internazionale non si è astenuta da critiche a volte molto pesanti sui ritardi della ricostruzione. Viste “dal basso”, queste prospettive stile “piano Marshall” paiono molto lontane. La vita quotidiana dell’80% della popolazione è ancora finalizzata ai servizi di base: casa, acqua, cibo, sopravvivenza famigliare.  

In un mondo globale che ci ha in più occasioni rivelato come la prospettiva di chi governa è molto lontana da quella delle persone, che il “sistema” si sta sempre più divaricando da chi lo genera, che le risorse del popolo sono messe in stand by in attesa che “grandi interventi” creino le condizioni perché queste possano esprimersi, è auspicabile che il “nuovo inizio” di Haiti riprenda dalle sue risorse umane, riparta dalla dignità della persona.



L’esperienza di AVSI di oltre 10 anni di vita, lavoro e legami in Haiti mostra che quella di Giovanni Paolo II è ancora la visione più realistica. Un Paese ricco di risorse umane, che hanno bisogno di tornare a sperare per ripartire. Una visione che parte dalla persona e non da un piano. L’educazione è certamente una condizione essenziale, per questo sono fondamentali la scolarizzazione e luoghi di ricreazione in cui bambini e giovani possano scoprire il valore di sé, degli altri e del mondo.

Il lavoro è altrettanto essenziale, per questo occorre che gli investimenti partano dalle risorse presenti e non si tenti di fare del Paese una isola di manodopera.

Una visone che parte dalle forze vive della società, dalle persone. Non da programmi a immagine e somiglianza della società dei consumi. Occorre la pazienza di far crescere soggettività consapevoli della propria identità e del proprio compito nel mondo, capaci, per questo, di trasformarlo e renderlo più umano.

Il lavoro del Presidente Martelly e del governo di Haiti è quindi particolarmente delicato e può essere un esempio per tutti: dare unità alle forze vive del Paese e al sostegno della solidarietà internazionale, verso l’obiettivo di una vita degna della persona umana.