Tremila morti e 60mila profughi in una settimana per uno scontro tra due etnie del Sud Sudan. A sei mesi dall’indipendenza del Sud cristiano e animista dal Nord musulmano, che sembrava avere posto fine a una guerra dai chiari connotati religiosi che ha provocato 2 milioni e mezzo di martiri in 40 anni, nel Paese africano torna a scorrere il sangue. Per raccontare questa guerra dimenticata Ilsussidiario.net ha intervistato Daniele Moschetti, Padre Provinciale dei Comboniani per il Sud Sudan. Per il missionario, che si trova nella capitale Giuba dal 2009, “dietro a quella che apparentemente è una faida tra pastori per alcune mucche, c’è il regime islamico del Nord Sudan che arma le tribù per destabilizzare il Sud. E il suo obiettivo è continuare a gestire gli enormi giacimenti petroliferi dello Stato da poco indipendente, che fino al luglio scorso erano a totale disposizione del regime di Khartoum”. E aggiunge padre Moschetti: “Entro pochi mesi il governo settentrionale imporrà la sharia, e quella presente nel Nord Sudan diventerà una Chiesa perseguitata”.
Padre Moschetti, com’è in questo momento la situazione in Sud Sudan?
Non proprio tranquilla, se si pensa che in queste ore ci sono seimila giovani armati da capo a piedi che affrontano l’Esercito come prova di forza nei confronti dell’etnia rivale. Quella sfociata negli ultimi giorni è una faida che si trascina da parecchio tempo tra le tribù dei Louer Nuer e dei Murlé, due delle oltre 60 etnie che compongono il Sud Sudan.
Per quale motivo nel Sud Sudan da poco indipendente è subito riesplosa la guerra?
Le due etnie che si fronteggiano vivono di pastorizia e la loro sussistenza si basa sulle mucche. Allevare migliaia di bovini significa avere bisogno di acqua e pascoli. Automaticamente, questo aumenta le tensioni tribali soprattutto nelle stagioni di secca come quella attuale. I giovani guerriglieri appartenenti alle due etnie attaccano i villaggi rivali, incendiandoli e ammazzando chiunque incontrano, e poi portano via tutto il bestiame.
Qual è la composizione religiosa delle tribù che si stanno fronteggiando?
Sono animiste e protestanti, ma si tratta essenzialmente di aree dove l’evangelizzazione è ancora molto superficiale. E questo è un fatto rilevante. Nelle zone del Sud Sudan dove il coinvolgimento con la Chiesa è più profondo, le situazioni di tensione sono sicuramente minori. Ovviamente il vero discrimine non è se una tribù si professi o meno cristiana, ma se le persone che la compongono stiano tentando di compiere un cammino di conversione per trasformare le tradizioni tribali.
E’ vero che gli scontri sono fomentati dal Nord musulmano che vuole indebolire il Sud cristiano?
Per molti di questi scontri è sicuramente così. Quando in una zona tribale si vedono dei pastori che girano imbracciando armi di ultima generazione, è evidente che qualcuno gliele deve avere fornite. Il Nord Sudan intende continuare a controllare il Sud per sfruttare una percentuale molto elevata dei ricchi giacimenti petroliferi del nuovo Stato indipendente. Ancora oggi non si è raggiunto un accordo su quanto del greggio proveniente dal Sud debba finire al Nord, che fino al 9 luglio sfruttava la totalità dei barili estratti a proprio piacimento. Un oleodotto lungo mille chilometri raggiunge Khartoum, la capitale del Nord, dove il petrolio è raffinato e quindi il 60-70% è venduto in Indonesia, Thailandia, Cina e altri Paesi asiatici. Per il regime di Khartoum perdere i ricavi di queste vendite sarebbe un colpo non indifferente.
Nel frattempo anche nel Nord Sudan la situazione non è tranquilla …
Nel Nord Sudan gli Stati di Kordofan, Blue Nile e Abyei sono bombardati di continuo dall’aeronautica militare di Khartoum, che utilizza i caccia Antonov per reprimere le proteste. La popolazione da qualche mese si è ribellata ai soprusi del regime, e vorrebbero annettersi al Sud Sudan. Essendo tre Stati molto ricchi di petrolio, il governo del Nord ha deciso di impedire con tutti i mezzi che passassero al Sud. E il risultato è che questi tre Stati si sono uniti ai ribelli.
In che modo la Chiesa ha vissuto i 40 anni di guerra nel Sudan?
La Chiesa cattolica, ma anche i vertici anglicani, presbiteriani e luterani, in tutti questi anni hanno lavorato insieme per la pace. A lungo la loro è stata l’unica voce in grado di parlare al mondo raccontando una guerra che altrimenti sarebbe stata del tutto dimenticata. Tanto è vero che sono stati decine e decine i religiosi cristiani uccisi da chi voleva metterli a tacere. Quella del Sudan è stata anche una guerra di resistenza nei confronti di un Islam che puntava a espandersi nel Sud cristiano e animista. Nel 1984 tutti i missionari presenti nel Paese, che all’epoca erano alcune centinaia, siano stati espulsi dal governo musulmano. Dopo la loro partenza sono rimasti i pochi preti diocesani e i catechisti. Grazie al loro contributo questa gente, che qualcuno potrebbe definire selvaggia, e che viveva nelle foreste e nelle paludi, ha mantenuto però la fede nel Vangelo.
Come ha reagito il regime di Khartoum?
Per cancellare il cristianesimo dal Sud del Paese, durante la guerra lo ha riempito di spie, di militari e di moschee, ma qui l’Islam non ha mai attecchito. La Chiesa ha pagato un caro prezzo, perché il Nord ha capito che il sostegno all’indipendenza del Sud Sudan veniva dai vescovi cristiani. Questi ultimi hanno sempre spinto perché le persone non rinunciassero alla propria dignità, e questo poi è stato determinante anche da un punto di vista politico. Salva Kiir Mayardit, presidente del Sud Sudan, lo ha riconosciuto scrivendo al padre generale dei Comboniani per invitarlo nel giorno in cui si è celebrata l’indipendenza del Paese, e affermando che “il Sud Sudan sarà per sempre indebitato nei confronti dei missionari comboniani”. Tanto è vero che buona parte degli attuali ministri ha studiato nelle scuole comboniane o si è recato nelle università all’estero grazie al nostro sostegno economico.
Nel Sud le moschee sono rimaste?
A differenza di quanto avviene alle chiese nel Nord, qui al Sud nessuno ha mai bruciato le moschee. E questo rispetto da parte dei cristiani del Sud Sudan è proprio un frutto dell’evangelizzazione, che ha insegnato come sia fondamentale guardare all’uomo e non all’ideologia. Fra qualche mese nel Nord Sudan sarà invece imposta la sharia, e quella presente nel Paese diventerà una Chiesa perseguitata.
(Pietro Vernizzi)