Un sondaggio, curato dal Crisp (Centro di ricerca e informazione sociopolitica) mostra il volto di una capitale dell’Unione europea, Bruxelles, ormai quasi capitale islamica. Gli studenti degli istituti primari infatti, secondo tale sondaggio, in maggioranza frequentano nell’ora di religione i corsi di islam, superando largamente gli studenti che invece seguono corsi di religione cattolica. Le cifre parlano chiaro: un 43% studia islam e solo un 23,3% sceglie come disciplina religione cattolica. Ma questi ultimi sono anche superati da quanti seguono corsi di morale laica, disciplina alternativa, che sono il 27,9%. Essendo Bruxelles la capitale delle istituzioni europee, un dato di questo genere suscita senza dubbio qualche domanda. Per Salvatore Abbruzzese, contattato da IlSussidiario.net, “Bruxelles non è ancora una capitale islamica tout court, prima che si modifichino leggi e istituzioni ci vorrà del tempo però è sicuramente una capitale dove c’è una forte presenza proveniente dal mondo islamico”. Questo, spiega Abbruzzese, era prevedibile vista la forte immigrazione dai Paesi islamici nel Belgio, ma “quello che dobbiamo chiederci adesso è che cosa questo significhi. Che cosa significa questo processo, quali sono gli spazi comuni e i valori non negoziabili. La mia paura è che invece si giri la testa dall’altra parte. Ma i problemi culturali non sono come i problemi economici, e non si risolvono con automatismi di tipo meccanico”.
Professore, a Bruxelles, sede dell’Unione europea, la maggioranza degli studenti segue corsi di religione islamica. Che cosa le dice questo dato?
Per arrivare a dati come questi, bisogna sommare vari fattori, è sempre un risultato aggregato. La prima osservazione è che siamo di fronte ad una massiccia presenza islamica legata all’immigrazione, ma questo non può farci etichettare quegli studenti come appartenenti all’Islam radicale. C’è anche un Islam moderato, così come esiste un semplice desiderio di appartenenza a una cultura d’origine. Bruxelles non è ancora una capitale islamica, prima che si modifichino leggi e istituzioni ci vorrà del tempo, però è sicuramente una capitale dove c’è una forte presenza proveniente dal mondo islamico. E comunque non è che lo si scopre oggi.
Secondo lei, è solo un dato dovuto all’aumento di immigrazione, o da un altro punto di vista si potrebbe dire che le famiglie cattoliche non sono più interessate allo studio della loro religione?
Questa è una osservazione da ponderare e che personalmente trovo più interessante del dato che gli islamici siano in maggioranza. Dietro a questa minoranza cattolica infatti si cela un processo di secolarizzazione che in Belgio è fortissimo. Il Belgio è una delle grandi aree secolarizzate in Europa dopo la Francia, e anche questa non è una novità. La percentuale di praticanti è molto bassa.
Vada avanti.
Esiste una secolarizzazione strisciante che è anche una interiorizzazione, una religione vissuta sul piano strettamente privato; e che quindi non solo non si riproduce in pubblico, ma si traduce anche nel non curarsi di una sua trasmissione culturale. Dunque i cattolici non solo sono minoritari, ma probabilmente non tengono nemmeno a dare una vera e propria formazione religiosa ai loro figli.
Un vuoto di proposta dunque.
Sono situazioni per certi versi simili alla Francia, quelle del Belgio, ambienti religiosamente spenti in cui in qualche maniera non c’è una presenza religiosa sufficientemente efficace da rendersi visibile.
Il fatto che tutto ciò accada a Bruxelles, capitale dell’Unione europea, sembra anche un fatto alquanto simbolico. Secondo lei questa realtà può influenzare in qualche modo la politica del Parlamento europeo?
Penso che le istituzioni europee siano già da tempo abbastanza sensibili al problema dell’immigrazione e del multiculturalismo; questi dati sull’insegnamento religioso prospettano un passo ulteriore da fare. Insisto però sul fatto che il problema della presenza islamica in Europa vuol dire un problema nuovo che va affrontato.
Non è stato fatto, secondo lei?
Poco e male. Non possiamo pensare di risolvere questa problematica scappando o demonizzandola. Dobbiamo per forza di cose lavorarci sopra, e questo è un lavoro di lungo tempo. Fortunatamente ci sono alcune realtà che lo stanno facendo, ma è un cantiere su cui non si può attendere che le cose si ricompongano da sé. Non possiamo girarci e aspettare che il problema in qualche maniera si ricomponga. I problemi culturali non sono come i problemi economici, non c’è una moneta buona che scaccia quella cattiva, il prodotto buono che scansa l’altro. Nei processi culturali non possiamo sperare che le cose in qualche maniera si compagnona da sole.
Cosa andrebbe fatto?
Se non ci sono interventi consapevoli, se non ci si ferma a pensare, da parte di tutti, anche dei cattolici e degli islamici, non si giunge a nulla. E’ anche una banalizzazione parlare di “islam” e basta: è un universo talmente variegato, quello, che a volte mi sembra che siamo noi a salvarli in un fronte unitario più di quanto lo facciano loro.
In conclusione, quali passi intraprendere?
Non possiamo sperare che tutto ciò si risolva da sé, non è una congiuntura. I processi culturali vanno seguiti da vicino e hanno bisogno di presenze consapevoli che sappiano da che parte andare. C’è una maggioranza islamica dovuta a una forte immigrazione negli ultimi 40 anni per cui era prevedibile si arrivasse a questo, ma che cosa significhi questo processo, quali sono gli spazi comuni, i valori non negoziabili, è tutto da scoprire. La mia paura è che si giri la testa dall’altra parte senza affrontare il problema.
C’è, mi sembra da capire, una mancanza di proposte culturali da parte di istituzioni e religione occidentale.
Non solo da parte nostra, anche gli islamici hanno forti carenze verso un occidente che non conoscono. E’ una duplice ignoranza, noi abbiamo una conoscenza pressoché nulla del mondo islamico e loro del mondo occidentale. Purtroppo arrivano in Europa oggi classi di immigrati che per via delle tragiche situazioni dei loro Paesi di origine nulla sanno della nostra cultura e della nostra società. Ma noi stessi abbiamo una conoscenza talmente frastagliata e contraddittoria, che sfida chiunque voglia parlare di cultura occidentale in un liceo dell’Europa occidentale.