Il faccia a faccia tra Joe Biden e Paul Ryan si è chiuso in un sostanziale pareggio. L’atteso confronto elettorale ha visto protagonisti il vice presidente in carica, chiamato a riscattare a tutti i costi il flop di Obama nella precedente sfida di Denver contro Romney, e l’appena 42enne repubblicano che ha dovuto invece fare i conti con la ben più matura esperienza politica dell’avversario. I sondaggisti adesso si dividono, anche se in molti decretano la vittoria “ai punti” del vice di Romney, imputando a Biden una eccessiva aggressività che lo ha portato a interrompere ripetutamente il proprio avversario. Eppure, nonostante i sorrisi, le risate e il pungente sarcasmo dell’attuale numero due della Casa Bianca, sembra che non vi siano dubbi che in fondo sia risultato più efficace. «Anche io sono dell’idea che il secondo confronto si sia concluso in un sostanziale pareggio», conferma a IlSussidiario.net Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della Comunicazione alla Sapienza di Roma. «Dopo il faccia a faccia tra Obama e Romney, l’attuale presidente è stato accusato di essere stato troppo remissivo e pacato, mentre oggi i media sono già pronti a lamentarsi dell’eccessiva aggressività di Biden».



Crede dunque che i media si stiano accanendo contro il team di Obama?

Sono convinto che i media americani abbiano già fatto la loro scelta. Dall’inizio della campagna elettorale, cioè da quando Obama era dato per sicuro vincente, hanno deciso di stare dalla parte repubblicana.

Come mai?

Ovviamente cercano di difendere il soggetto più debole, altrimenti non esisterebbe la competizione. Fin dall’inizio diversi esperti sapevano già che il candidato repubblicano sarebbe stato almeno discretamente supportato dall’insieme della comunicazione. C’è poi un altro elemento che andrebbe evidenziato.



Quale?

La vera incognita di questa campagna elettorale è rappresentata dalla “strategia” dei repubblicani, che sembrano voler adeguare i loro argomenti esclusivamente ai sondaggi attraverso una estrema mediatizzazione del confronto. In sostanza rinunciano a qualunque elemento identitario pur di seguire gli argomenti giudicati vincenti, come è accaduto riguardo l’aborto, la sanità e le tasse. Rimane il fatto che ancora non sappiamo quale sia la vera proposta politica dei repubblicani, ma solo che essa viene costruita solamente sulla base delle indagini di gradimento riguardo i diversi temi. Obama e il partito democratico, anche se stanno dimostrando molto meno smalto rispetto a qualche anno fa, in questo hanno un piccolo vantaggio.



Quale in particolare?

Quello di avere una rendita di posizione garantita da un governo uscente. Anche se di solito questo può rappresentare un peso, per Obama sembra invece essere un vantaggio. Il fatto di essere presidente in carica non sarà anche utile nel gioco comunicativo, ma lo è certamente quando è il momento di votare. Un altro fattore di cui gode Obama è rappresentato dal fatto che, come ci dicono i sondaggi, tutte le quote di attenzione che perde non vanno automaticamente al candidato repubblicano.  Questo significa che la “stanchezza” nei confronti di chi occupa una posizione forte non si traduce obbligatoriamente in un vantaggio per il suo competitor.

Crede che i media abbiano influito anche nel confronto con Romney?

E’ innegabile che il candidato repubblicano abbia rappresentato un evidente fattore sorpresa, però credo che lo sia diventato anche perché i media sono stati capaci di costruire una sapiente attesa di quell’evento. E’ noto che in America vi sia un eccesso di mediatizzazione della politica e, dopo aver creato un clima esagerato di suspense, i media si sono preparati a dare una mano a “Davide” nella battaglia contro “Golia”, una mossa che funziona sempre.

Come mai invece in Italia i confronti risultano molto meno appassionanti?

Credo vi siano almeno tre motivi: innanzitutto in Italia ancora non c’è, per nostra fortuna, una cultura così radicata del bipolarismo come invece vi è nella tradizione americana. Negli Stati Uniti non c’è niente tra il bianco e nero, se non l’astensionismo. In Italia non solo c’è un’area di mezzo, ma anche una componente rilevante della partecipazione politica che non crede nell’alternativa secca rappresentata da A contro B. Questo ovviamente rende il confronto televisivo, in cui viene privilegiata la struttura binaria, molto meno affascinante.

Quali sono gli altri motivi?

Per quanto in Italia la televisione abbia tirato un pessimo scherzo alla politica, rendendola più triviale rispetto a quella degli anni Sessanta o Settanta, in cui vi era ancora una cultura della partecipazione, non siamo comunque ancora arrivati ai livelli di spettacolarizzazione e di suspense americani. Nel nostro Paese, dunque, un dibattito televisivo non sarà mai decisivo come lo può essere negli Stati Uniti.

Il terzo e ultimo elemento?

Il terzo motivo è rappresentato dal fatto che il nostro sistema televisivo e i suoi linguaggi sono ancora indietro nel racconto della politica, anche a causa di chiari limiti normativi. La stessa par condicio, pur avendo un ovvio e giusto effetto benefico complessivo, finisce per rendere la comunicazione televisiva molto meno libera che negli Stati Uniti.

 

(Claudio Perlini)