Biden vs Ryan: chi ha vinto? Mah… come sempre ognuno legge le cose come vuole. E così hanno fatto sia i repubblicani che i democratici commentando la performance televisiva dei rispettivi candidati vicepresidenti. Ognuno è libero di restare colpito da uno scambio di parole piuttosto che da un altro, soprattutto di fronte all’evidenza che colpi da ko non ce ne sono stati. E’ indubbio però che se qualcuno ha tirato sberle all’altro, questi è stato sicuramente Joe Biden, che – dopo un inizio balbettante – ha cominciato a trattare il giovane debuttante Paul Ryan come un insegnante tratta uno scolaro che ripete quel che ha studiato senza sapere di cosa stia parlando. Sicuramente attraverso il Biden di giovedì sera i democratici cercavano di riguadagnare quell’inerzia che dopo il primo dibattito presidenziale era inaspettatamente passata in mano ai repubblicani.



Apparentemente l’operazione è riuscita: Biden, messo alle corde all’inizio del dibattito sui disastri della recente politica internazionale Usa, si è divincolato riguadagnando il centro del ring e facendo ballare il contendente attaccandolo (a mio avviso con discreto successo) proprio sui temi “forti” dei conservatori: “Stimulus Plan”, “Medicare”, defiscalizzazione. Il problema però sta nel “come” l’ha fatto. E’ facile perdersi nell’ascolto di questioni complesse fino all’intricato come quelle sulla sanità. Tutti dicono tutto e il contrario di tutto, per giunta senza controprove, e non solo noi ascoltatori non riusciamo a seguire, ma ci ritroviamo addosso quella sgradevolissima sensazione che non ne capiscano granchè neanche i politici, gli esperti. Allora il “come” si agisce davanti alle telecamere diventa rilevante. Molto rilevante. Secondo alcuni diventa decisivo. E qui Biden ha perso. Se torniamo per un istante all’esempio dell’insegnante e del ragazzino è facile capirlo. Immaginatevi di essere insegnanti anche voi: una bella “lezione” all’imberbe spazza via i dubbi su chi comanda e chi dovrebbe star zitto. Mettetevi poi nei panni degli studenti: la protervia dell’insegnante ci conferma ancora di più nelle nostre posizioni. E ora, i genitori. Ci son quelli che amano l’approccio dell’insegnante, ci son quelli che vedono solo i loro figli, e poi ce ne sono tanti – tantissimi, quei novanta milioni che non votano anche se potrebbero – che seguono la disputa per arrivare ad una scelta di campo. E vedere quell’aria di sufficienza e ironica superiorità che sà di arroganza che Biden ha messo in mostra per buona parte della serata non porta frutto.



Certo, devono piacere le idee, ma deve anzitutto piacere la persona. In Germania, in Francia, in Italia non ci si chiede se la Merkel è più “compassionate” di Steinmeier, se Hollande lo è rispetto a Sarkovsky, o come va il paragone tra Monti e Berlusconi, e non interessa che il presidente creda in Dio o nel pancotto. Qua si. Qua guardiamo al presidente (e ai suoi uomini) come una volta la gente guardava al parroco ed al medico di famiglia. O meglio, si vorrebbe avere un presidente da poter guardare cosi.

Ricordo il giorno della “Inauguration” di Obama, il giorno del suo giuramento come 44° Presidente degli Stati Uniti. Mezza America seguì l’evento tra tv e internet e quasi mezzo milione di persone si raccolsero a Washington Dc. Vi immaginate mezzo milione di persone che si radunano (liberamente festose!) per l’elezione di un politico? Ne conosco parecchi che presero un giorno di ferie (e qui le ferie son proprio poche) per poter dire “I was there”, io c’ero. Mi ricordo anche il momento in cui un pensiero inaspettato mi colpì mentre guardavo (anch’io guardavo) e pensavo, scuotendo la testa tra me e me, a quanto mi sembrasse scioccamente ingenuo porre tanta speranza in un uomo… Il pensiero improvviso? Che non si può fare a meno di sperare! Si può sbagliare la scelta, ma non si può fare a meno di sperare. L’America guarda al presidente come lo guarda perchè il bisogno di sperare è tanto insopprimibile quanto lo sono fame e sete. Si può riporre malamente la propria speranza, ma senza non si vive. Nè come persona nè come paese.



E’ per questo che va bene tutto, ma vogliamo qualcuno che sia “compassionate”, che abbia un cuore di carne, umano e proprio perchè umano, creda in Dio, creda che l’uomo è rapporto con l’Infinito. Il resto – cosi si crede – si può sempre correggere lungo il cammino. Credo che la storia della politica americana lo testimoni.