L’Unione europea ha da poco varato un nuovo pacchetto di sanzioni contro il regime di Bashar al-Assad. Il nuovo intervento stabilito dai ministri degli Esteri dei Paesi membri, il diciannovesimo dall’inizio della crisi siriana, mette nel mirino 28 persone e due aziende legate al regime: le prime non potranno mettere piede in territorio europeo, le seconde vedranno congelati i propri asset nell’Ue. Le ultime misure introdotte da Bruxelles si vanno dunque a sommare a quelle delle settimane precedenti, dall’embargo all’acquisto di petrolio fino alle restrizioni negli scambi finanziari.
Intanto la tensione tra Damasco e Ankara non accenna a diminuire: dopo la decisione della Turchia di intercettare mercoledì scorso il volo Mosca-Damasco, nella mattinata di lunedì il governo di Ankara ha costretto all’atterraggio un altro aereo, un cargo armeno carico di aiuti umanitari diretto ad Aleppo. Mentre in Siria si continua a morire, invece, il mediatore internazionale Lakhdar Brahimi ha lanciato un appello per chiedere di porre fine al bagno di sangue di civili e combattenti, affinché si possa giungere a una tregua fra governativi e ribelli entro la fine del mese, in occasione della festa dell’Aid al-Adha. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Enzo Cannizzaro, docente di Diritto internazionale presso l’Università La Sapienza di Roma.
Come giudica il nuovo pacchetto di sanzioni da parte dell’Ue?
Come è noto, le Nazioni Unite non hanno adottato sanzioni nei confronti del Governo siriano. Le sanzioni adottate dall’Unione europea sono quindi di carattere unilaterale, al di fuori, cioè, del quadro multilaterale delle Nazioni Unite. Esse consistono sostanzialmente in due tipi di misure: oltre all’embargo sulle armi, vengono estese le misure di blocco dei beni e il divieto di viaggiare a carico di dirigenti siriani. Il carattere unilaterale di queste misure, tuttavia, ne indebolisce grandemente l’efficacia.
Come mai?
E’ davvero difficile ipotizzare che misure unilaterali da parte dell’Unione europea, che non si applicano cioè al resto del mondo e, in particolare agli sponsor politici del regime, abbiano effetti apprezzabili sulla crisi. Diversa efficacia avrebbero sanzioni disposte dalle Nazioni Unite. Esse sono però condizionate al consenso di Russia e Cina. Come è noto, tuttavia, questi Stati sono molto riluttanti ad adottare sanzioni, e ancor di più ad autorizzare un intervento armato, per paura che l’autorizzazione si trasformi in una sorta di disco verde agli Stati occidentali ad operare unilateralmente un mutamento di regime in senso filooccidentale, come è accaduto in Libia.
C’è chi dice che vietare agli europei l’invio di armi in Siria equivale a lasciare che gli alleati di Assad armino il regime, andando dunque a indebolire i ribelli. Cosa ne pensa?
Si tratta di una obiezione ricorrente nell’ambito di un conflitto armato. A suo tempo, essa venne sostenuta dalla Bosnia nel corso del conflitto iugoslavo. E’ chiaro che un embargo disposto nei confronti di tutti i partecipanti al conflitto ha l’effetto di sfavorire i soggetti più deboli. In questo caso, sarebbero sfavoriti i ribelli, dato che il regime ben potrà continuare a ricevere armi da parte degli Stati suoi sostenitori. Non conosco le nuove misure così da valutare se tale rischio sia reale. Mi limito a osservare come da tempo i ribelli siriani ricevano aiuti in maniera clandestina da vari Stati, fra i quali verosimilmente anche quelli appartenenti all’Unione europea. D’altra parte, un supporto esplicito dell’Unione europea che si concreti in forniture militari a favore dei ribelli costituirebbe un illecito internazionale assai evidente.
Sarebbe allora stato meglio lasciare la situazione invariata?
La situazione siriana è in uno stato di stallo. In assenza di consenso fra i membri permanenti delle Nazioni Unite, i contendenti giocano una partita puramente militare. Ciascuno di essi ha l’appoggio, diretto o indiretto, di parti della comunità internazionale. Siamo, in sostanza, ad una situazione analoga a quella esistente ai tempi del bipolarismo Usa-Urss: abbiamo un conflitto locale che diventa una questione strategica della massima importanza per la supremazia nell’area. Per sbloccare lo stallo, e assicurarsi il consenso di Russia e Cina, i Paesi occidentali dovrebbero dare assicurazioni circa il carattere genuinamente umanitario di un eventuale intervento, da operare quindi in un quadro davvero multilaterale e non già fintamente multilaterale come è successo spesso negli ultimi anni.
Nei giorni scorsi si sono moltiplicate le voci secondo cui Russia e Turchia starebbero arrivando ai ferri corti sulla questione siriana. Cosa potrebbe giustificare una reazione da parte della Russia?
Un intervento diretto della Russia mi pare molto improbabile. Le azioni turche sono simbolicamente importanti perché alzano l’asticella del confronto. Esse però non sono certo risolutive. Vorrei sottolineare che l’intervento nei confronti di un aereo armeno, oltre che di dubbia liceità sul piano giuridico, ci dice molto sugli schieramenti nel conflitto siriano. Al di là della sua relativa importanza militare, l’Armenia è uno Stato cristiano in un’area a dominanza musulmana. Inoltre c’è una forte minoranza armena nei Paesi del Medio oriente e anche in Siria. La posizione armena sembra indicare che i cristiani del Medio oriente sono alleati del regime laico siriano, nel timore, verosimilmente, di una deriva fondamentalista.
Che importanza ha in questo scenario il diritto internazionale?
Il diritto internazionale ha una grande parte nel conflitto siriano. Esso ci aiuta a capire perché Russia e Cina sono contrarie ad un coinvolgimento delle Nazioni Unite, che sarebbe inevitabilmente a guida occidentale. Esso ci aiuta anche a capire perché senza un loro coinvolgimento gli Stati occidentali sono in un vicolo cieco. Certo, il diritto internazionale non ci dice quale delle parti potrà uscire vittoriosa dal conflitto…
(Claudio Perlini)