Paul Bhatti, ministro pakistano per l’Armonia nazionale e fratello di Shahbaz, ucciso un anno e mezzo fa da un commando di terroristi, interverrà oggi all’Università di Padova per parlare di come vivono i cristiani nel suo Paese. Come anticipa a Ilsussidiario.net, “sarà l’occasione per proporre una grande conferenza mondiale sul tema della libertà religiosa, che vorrei organizzare in Italia insieme a tutti i capi di Stato e leader politici e religiosi dei cinque continenti”.



Ministro Bhatti, è di ieri la notizia di alcuni musulmani pakistani accusati di blasfemia per avere distrutto un tempio induista. Che cosa ne pensa?

La legge sulla blasfemia punisce le offese contro qualunque religione e i suoi profeti. Purtroppo in Pakistan è stata applicata soprattutto contro i cristiani, ma anche alcuni musulmani sono stati perseguiti con questa accusa. L’attacco contro il tempio induista rientra a sua volta nei casi previsti dalla legge sulla blasfemia. Ma anche nel caso di Rimsha Masih, sembrerebbe che un musulmano abbia inserito delle pagine del Corano all’interno di un sacchetto che conteneva la cenere, con l’obiettivo di far ricadere l’accusa sulla ragazzina. Questo gesto è a sua volta una forma di blasfemia, e quindi ora questo personaggio di religione islamica a sua volta dovrà rispondere della stessa accusa.



Ritiene un fatto positivo che, in questo caso, la legge sulla blasfemia sia stata applicata contro l’intolleranza religiosa dei musulmani?

Sì, da un certo punto di vista è positivo. La cosa più importante però è un’altra, e cioè che la legge sulla blasfemia non sia usata per fini o vendette personali. Il problema del Pakistan è che esiste un gruppo di individui con una mentalità estremista, che definire terroristi non è sbagliato, i quali usano qualsiasi pretesto per creare il caos.

A che punto è intanto il caso di Rimsha Masih?

L’aspetto negativo è che la soluzione della vicenda sta richiedendo più tempo del previsto. Nel momento in cui si accingeva a concludere il processo, il giudice di primo grado ha dovuto affrontare delle proteste degli avvocati che accusano Rimsha. Un gruppo numeroso di persone si è presentato in tribunale con sei legali, e non lasciava parlare il giudice chiedendo a gran voce che la bambina fosse punita. Hanno insultato il magistrato e la polizia, affermando che avrebbero fatto giustizia con le loro mani. Di fronte a una mentalità così aggressiva c’è poco da fare. Pretendevano addirittura che Rimsha Masih si presentasse in tribunale, e noi ci siamo opposti perché a quel punto l’incolumità della piccola sarebbe stata messa a repentaglio. Sotto pressione, il giudice ha però deciso che nell’udienza successiva la bambina si sarebbe dovuta presentare.



Quindi che cosa avete fatto?

Il ministro pakistano della Giustizia e diversi avvocati mi hanno suggerito di fare ricorso direttamente alla Corte d’appello, per chiedere di fermare l’ordine di comparizione in tribunale da parte di Rimsha e di emanare una sentenza d’assoluzione. Il 27 settembre abbiamo presentato il ricorso e la prossima udienza si terrà il 17 ottobre. Sono fiducioso, in quanto l’inchiesta realizzata dalla polizia ha dichiarato che la minorenne è innocente.

 

Di recente lei è stato a New York. Qual è stato il motivo del suo viaggio?

 

Il 26 settembre ho partecipato a una serie di incontri nella sede Onu al Palazzo di Vetro, dove sono intervenuto sul tema della libertà religiosa e mi sono confrontato con varie persone per chiedere loro di aiutarci a difendere i cristiani in Pakistan. Devo dire che ho trovato una grande disponibilità. Oggi parlerò all’Università di Padova, e proporrò che l’Italia organizzi una grande conferenza sul tema della libertà religiosa, invitando tutti i capi di Stato e i leader politici e religiosi, per individuare soluzioni per il futuro, e ripristinare la pace che è stata ferita dagli attacchi contro i cristiani.

 

Perché ritiene che l’Italia sia il luogo ideale per questa grande conferenza?

 

Perché avverto una grande sensibilità sul tema della libertà religiosa, e il vostro è un Paese noto nel mondo per la sua tolleranza. A differenza invece degli Stati Uniti che hanno creato malcontento con la loro politica interventista.

 

(Pietro Vernizzi)