L’attentato di venerdì scorso a Beirut in cui sono morte otto persone, fra cui il capo dell’intelligence governativa Wissam al Hassan, ha gettato il Libano nel caos. Ieri, durante i funerali del funzionario si sono registrati scontri fra le forze dell’opposizione e l’esercito governativo, intervenuto per evitare che i manifestanti assaltassero il palazzo del Governo, accusato di essere complice della Siria nella strage di venerdì. Gli agenti hanno lanciato lacrimogeni contro gli assalitori causando il ferimento di due persone. Gli incidenti di Beirut sono scoppiati al termine dei funerali del capo dell’intelligence, ucciso dopo che aveva condotto indagini su presunti attentati organizzati dal regime di Damasco in Libano contro personalità anti-siriane. Abbiamo chiesto per IlSussidiario.net un commento a Guido Olimpio, inviato del Corriere della Sera.
Perché l’assassinio di Wissam Al Hassan è un fatto così destabilizzante nell’equilibrio libanese?
Innanzitutto, perché avviene in una fase di grande tensione sia all’interno del Paese sia nell’intera regione. In circostanze così delicate basta poco per far esplodere la violenza e accentuare i contrasti, soprattutto nei confronti della Siria che ha sempre considerato il Libano un po’ come il suo cortile di casa: Damasco è responsabile dell’uccisione di centinaia di persone ed è considerata un pericolo dai sunniti. L’altro motivo può essere spiegato dall’influenza del personaggio in questione. Al Hassan era un uomo molto vicino ai sauditi, alle forze dell’opposizione e al Movimento del 14 marzo ma, soprattutto, era stato una figura chiave nelle indagini sull’omicidio di Rafik Hariri, cosa che poteva mettere in difficoltà la Siria e i suoi alleati in Libano. L’opposizione libanese, infatti, accusa Damasco di essere il mandante della strage e la rabbia ha finito per scatenare reazioni violente.
Il rischio è che si inneschi una nuova guerra civile?
Le tensioni sono molto forti e gli scontri sono all’ordine del giorno. Tuttavia ritengo che i libanesi siano intenzionati a non dimenticare le sofferenze patite durante la guerra civile e che per questo prestino molta attenzione a non oltrepassare la misura. D’altra parte, in Medio Oriente non è molto difficile stabilire a tavolino i limiti: la storia insegna che da piccole operazioni sono nate grandi svolte. Credo che le forze in campo vogliano evitarlo ma, al tempo stesso, intendano regolare i propri conti.
In questo momento è quindi impossibile un Governo di unità nazionale che possa accontentare tutti ed evitare il peggio?
Penso che manchi la volontà di formare un Governo che tenga unite le diverse fazioni. In Medio Oriente ci si può nascondere dietro le etichette e i falsi compromessi, ma ciò che conta sono sempre i fatti: oggi l’ostilità è tale che l’accordo è altamente improbabile. Non dimentichiamo che in Siria si stanno compiendo massacri per mano del regime ed eccessi da parte delle forze ribelli. Oltre ad essere una guerra di liberazione è anche un conflitto che oppone sunniti e alawiti, scontro che si riverbera anche in Libano, dove c’è una forte componente sciita, alleata di Damasco e una fazione sunnita alleata dei ribelli. Insomma, le formule e le soluzioni politiche possono essere varie ma ciò che conta, al momento, sono solo le appartenenze.
Ieri il partito di opposizione guidato da Saad Hariri ha portato in piazza migliaia di persone, un gesto simbolico che non ha portato agli effetti sperati.
Anche in questo caso l’appartenenza e l’emozione contano più di qualsiasi altro ragionamento o strategia politica. Saad Hariri non poteva non radunare i suoi in piazza, vista la simbolicità del gesto che ha scatenato le proteste. Non reagire all’attentato che chirurgicamente ha preso di mira un simbolo della lotta al Governo sciita, avrebbe significato dare un premio ulteriore agli assassini e scontentare la propria fazione.
Ieri il presidente libanese Suleiman ha incontrato i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Pensa che l’intervento delle Nazioni Unite possa portare a risultati positivi?
Sono molto scettico perché l’Onu non ha forza. In questi Paesi serve un intervento robusto che sia in grado di convincere le parti: in Siria non si è registrato alcun risultato e, immagino che in Libano possa accadere la stessa cosa. L’Onu ha svolto in questi anni un buon lavoro nel Sud, come forza di interposizione fra Israele ed Hezbollah, ma in questo caso le sue possibilità di azione e di successo mi paiono minime.