«Ricordo che in Siria, verso la fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, ebbe luogo una sollevazione popolare con l’obiettivo di chiedere maggiore democrazia e libertà. In quegli anni c’erano due correnti in particolare decise ad affrontare il regime: da una parte i gruppi laici di sinistra, dall’altra i Fratelli Musulmani, con questi ultimi che scelsero di adottare la lotta armata. Il regime, in risposta, soffocò nel sangue ogni tentativo di ribellione. E’ per questo motivo che ho deciso di lasciare la Siria». Era il 1982 e Sami, cittadino siriano che ha deciso di raccontare la propria storia a IlSussidiario.net, lasciava un Paese governato dal regime dittatoriale di Hafiz al-Asad, un potere mantenuto dal 1970 fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 2000. Gli subentrerà il figlio, Bashar al-Asad, attuale presidente siriano.



Cosa pensa dell’attuale crisi?  

In Siria è in atto una rivolta popolare con cui si vuole chiedere libertà, dignità e democrazia. La repressione e l’uso indiscriminato della forza ha inevitabilmente condotto la gente a difendersi e a dover fare a sua volta uso delle armi. Sono più di quarant’anni che il popolo siriano vive sotto questa dittatura e il regime di Assad, fin dallo scoppio delle prime rivolte, ha sempre negato l’esistenza di un problema politico. Ha invece affrontato la rivoluzione unicamente con la repressione, tentando di far credere di essere vittima di un complotto interno perpetrato da gruppi infiltrati di salafiti.   



In che modo crede si risolverà?

Non è facile prevedere cosa potrà accadere, ma spero che la comunità internazionale riesca a dare un aiuto ai ribelli e a tutto il popolo siriano affinché possa avere la possibilità di uscire vincitore da questo conflitto che ha ormai preso piede in tutto il Paese.

Come giudica le sanzioni imposte alla Siria dall’Unione europea e dagli Stati Uniti, le stesse che Assad ha definito “immorali e illegali”?

Se le sanzioni non vanno a intaccare le radici stesse del regime non hanno alcun significato. E’ inutile imporre misure restrittive di questo tipo che permettono comunque l’ingresso di armi e di mezzi che vanno a potenziare l’esercito del regime, finanziato anche dall’Iran. Di conseguenza, non solo le sanzioni non modificano l’attuale situazione ma paradossalmente la aggravano, perché rischiano di esporre il popolo siriano a ulteriori rischi. Gli interventi internazionali devono penetrare nelle fondamenta del regime, ponendo per esempio l’embargo ad armi e mezzi che lo sostengono, altrimenti non serviranno assolutamente a niente.



Assad ha recentemente concesso un’amnistia generale a tutti i detenuti “comuni”, ossia non colpevoli di azioni di terrorismo. Cosa ne pensa?

Si tratta solamente di propaganda. L’amnistia è concessa solamente ai delinquenti “comuni”, vale a dire coloro che non hanno niente a che vedere con i ribelli e con tutto ciò che sta accadendo in Siria. Il regime, quando parla di “terroristi”, intende coloro che hanno anche in minima parte avuto a che fare con i ribelli, quindi mi chiedo a chi sia davvero rivolta questa amnistia.

Cosa può dirci invece dell’attuale situazione dei cristiani?

Anche i cristiani fanno parte del popolo siriano, quindi soffrono come tutti gli altri. Il regime sta però cercando di dimostrare che si tratta di un conflitto settario, tentando allo stesso tempo di dimostrare di essere impegnato nella protezione dei cristiani, quando invece non è assolutamente così. La rivolta in atto tocca tutti i settori della popolazione, dai cristiani ai musulmani, fino agli sciiti e ai sunniti, tutti in cerca di democrazia e di una maggiore giustizia sociale. La sofferenza è quindi vissuta da tutti allo stesso modo. C’è poi un aspetto particolare di questa attuale crisi che vorrei sottolineare.

Quale?

Credo di non aver mai visto un governo, se così si può chiamare quello siriano, bombardare le proprie città e il proprio popolo con ogni mezzo possibile e spesso anche attraverso bombe a grappolo. Questo avviene però nel silenzio di tutto il mondo, un silenzio che io considero “complice”, perché in realtà sono in molti a desiderare che questo Paese venga distrutto.

 

(Claudio Perlini)