Quasi tre milioni di pellegrini musulmani stanno giungendo in queste ore da ogni parte del mondo a La Mecca, in Arabia Saudita, per l’inizio della celebrazione dell’Aid al-Adha, la Festa del Sacrificio. Una volta giunti a destinazione, tutti i fedeli si spoglieranno degli abiti usuali e si vestiranno solamente di un telo di cotone bianco, simbolo dell’uguaglianza al cospetto di Allah. A quel punto potrà avere inizio l’Haj, il pellegrinaggio vero e proprio che, secondo il calendario lunare islamico, cade l’ottavo giorno del mese di Dhu Al Hijja. La parola Adha richiama il significato di “sacrificare” e si ricollega al ricordo delle prove che sarebbero state superate dal profeta Abramo e dalla sua famiglia che, secondo i musulmani, era formata da Hagar e dal loro figlio Ismaele. Il sacrificio rituale che si pratica nel corso della festività ricorda infatti quello sostitutivo effettuato con un montone da Abramo, come spiega a IlSussidiario.net Khaled Fouad Allam, islamologo e profondo conoscitore del mondo musulmano. «Questa festa – ci spiega – è un punto focale di tutto ciò che può essere considerata la valenza della religione islamica. Non a caso viene chiamata nel mondo arabo Id al-Kabir, la “grande festa”, in cui proprio l’aggettivo “grande” descrive questa importante celebrazione: non viene infatti ricordata solo la migrazione abramitica, ma soprattutto il significato della particolare storia che lo vede protagonista con suo figlio Ismaele». Abramo, infatti, doveva a malincuore sacrificare suo figlio Ismaele (nella Bibbia si parla invece di Isacco), secondo quanto indicato da una rivelazione divina. Una difficile prova attendeva il paziente profeta, che però obbedì. Al momento del sacrificio, quando Abramo stava per uccidere il figlio, Dio lo sostituì con un montone, che venne sacrificato al suo posto. «La valenza simbolica di questa sostituzione – ci spiega Khaled Fouad Allam – è di creare una coscienza collettiva all’interno dell’Islam con lo scopo di far capire la bontà di Dio, capace di miracoli come questi e di emarginare totalmente il Male, sostituendolo con il Bene».
Le potenti forze del Bene lottano dunque contro le altrettanto potenti forze del Male ma, «grazie alla fede, questo evento dimostra al musulmano la persistenza della coscienza del Bene nella società. Per questo è chiamata la “grande festa”, proprio perché racchiude una valenza che va ben oltre il racconto in sé e delinea in un certo senso il percorso che ogni musulmano dovrebbe fare, vale a dire quello della credenza e della fede. Le forze del Bene, quindi, saranno comunque superiori a quelle del Male».