Scritte in lingua ebraica con insulti a Gesù hanno dissacrato il portone del convento di San Francesco sul Monte Sion a Gerusalemme. Le foto riportate sul sito web del luogo di culto mostrano delle frasi blu in ebraico in cui si denigra Gesù e si citano le parole “price-tag”, che indicano le vendette ebraiche che di solito prendono di mira gli insediamenti arabi o lo stesso Esercito israeliano. Ilsussidiario.net ha intervistato Giulio Meotti, giornalista de Il Foglio e autore del libro “Non smetteremo di danzare”, dedicato ai martiri di Israele.



Meotti, le scritte blasfeme sono un segno del crescente odio contro i cristiani oppure una ragazzata?

Questi atti di vandalismo rientrano nel fenomeno del cosiddetto “price tag”, forme di ritorsione vandalica che secondo una parte della stampa israeliana sarebbero imputabili agli ambienti nazionalisti religiosi, soprattutto dei coloni. I casi accertati di questo tipo però sono stati soltanto due. Per il resto la polizia e la magistratura non hanno ben capito se si tratti di hooligan, anarchici o estremisti religiosi. C’è tutto un mondo che ruota intorno ai graffiti, e di cui si parla da circa due anni. Una volta attaccano una moschea, un’altra una chiesa, un’altra ancora sbeffeggiano l’Esercito israeliano dopo l’evacuazione di un insediamento.



Può spiegare meglio che cosa significa “price tag”?

Tradotto in modo letterale, è il cartellino della spesa. Negli ambienti del nazionalismo religioso è una forma di vendetta, il prezzo che si fa pagare agli arabi, il cui mondo è rappresentato come avverso agli interessi israeliani nella West Bank o Cisgiordania.

Il prezzo che si fa pagare per che cosa?

Per ogni evacuazione o repressione dei coloni. Quando si evacua un insediamento, un avamposto o una colonia, il giorno dopo spesso compaiono dei graffiti su una moschea. Tutto ciò non è mai stato ben cifrato, non esiste una giurisprudenza, ci sono stati dei casi ciascuno dei quali è una storia a sé stante. Talora sono stati fermati dei ragazzi cresciuti nelle colonie, altre volte si è capito che si era trattato di hooligan che vivono a Gerusalemme a contatto con gli arabi. Il dato certo è che la tensione in Israele cresce ogni giorno di più, tanto è vero che qualcuno preannuncia o intravede una Terza Intifada.



Per quale motivo la tensione sta crescendo?

Perché in Israele c’è la legge che quando non succede niente sale l’ansia, da una parte e dall’altra, soprattutto dal punto di vista degli arabi, per la cui causa l’immobilismo è deleterio. Nel periodo del governo Netanyahu, non ci sono stati avanzamenti nel processo negoziale. In parte per un certo pregiudizio dell’esecutivo israeliano nei confronti di interlocutori palestinesi come Abu Mazen. Dall’altra per un’intransigenza ideologica e politica di fondo dell’Autorità Palestinese nel dialogare con gli israeliani, in quanto le condizioni che pongono sono irrealistiche.

 

Quali sono le conseguenze di questa situazione bloccata?

 

Il fatto che nessuno faccia nulla per trovare un accordo non giova al Medio Oriente. In passato si è sempre cercato di trovare una soluzione in maniera ingegneristica, o comunque di trattare qualcosa. Negli ultimi due o tre anni non si è visto più nulla e tutto sembra essersi fermato. I palestinesi hanno perso d’importanza alle Nazioni Unite, tanto che il discorso di Abu Mazen precedeva quello di Netanyahu, e nessuno ne ha parlato. E’ come se l’intera questione fosse scomparsa dall’agenda internazionale. Questo può essere un motivo di ripresa della violenza.

 

Perché questa violenza coinvolge un convento, cioè un simbolo cristiano?

 

Perché i cristiani in Medio Oriente sono sempre le vittime di giochi più grandi di loro. A Gaza sono perseguitati da Hamas, tanto che due mesi fa c’è stato il grido di dolore della comunità cristiana attaccata dai fondamentalisti islamici. Altre volte sono visti dagli israeliani come troppo vicini agli interessi palestinesi, perché la politica della Chiesa cattolica in questi anni è stata molto favorevole alla causa araba, o comunque in una posizione di cosiddetta equidistanza. I cristiani quindi pagano sempre il prezzo ultimo di una follia che è parte della vita stessa del Medio Oriente. In Egitto erano visti come collaborazionisti di Mubarak, nel caso della Siria sono considerati come conniventi con il regime di Assad, come lo furono in Iraq con Saddam. I cristiani pagano sempre, è una legge cinica e brutale e che non cambia mai.

 

(Pietro Vernizzi)