Sale a sessantotto il bilancio delle vittime degli ultimi attentati in Siria. Secondo i Comitati locali di coordinamento dell’opposizione, quindici persone sono state uccise in un bombardamento aereo ad Aleppo e otto, tra cui bambini, nell’attacco ad un autobus da parte delle forze governative a Hajar al Aswad, sempre nei dintorni della città. Ancora a Damasco, nel corso della mattinata di ieri, l’aviazione siriana ha bombardato numerosi quartieri della periferia settentrionale, dove proseguono i combattimenti fra esercito e milizie nell’ultimo giorno della tregua temporanea negoziata dall’inviato dell’Onu Iakhdar Brahimi e ripetutamente violata dalle parti. “La crisi in Siria è estremamente pericolosa, la situazione è difficile e sta peggiorando”, queste le parole di Brahimi oggi a Mosca , in una conferenza stampa congiunta col ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov. “La comunità internazionale deve riunirsi e contribuire a trovare una via d’uscita dalla crisi”, ha aggiunto, definendo la situazione siriana una “guerra civile”. “Sino a quando la comunità internazionale o la Turchia non saranno coinvolte militarmente in un conflitto- dice il giornalista Luigi Geninazzi, contattato da IlSussidiario.net- la situazione non subirà alcun cambiamento”.



Altre vittime in sanguinosi attentati. Per ora, un accordo fra le parti sembra un’ipotesi impossibile. Sino a quando si potrà proseguire in questo modo?

L’unico paragone che posso fare, anche se in Siria la situazione è molto più grave, è la guerra civile in Bosnia, dove non era netta la linea di demarcazione fra buoni e cattivi. In più, fuori dal Paese arrivano pochissime informazioni: da un lato, c’è la propaganda del regime autoritario e sanguinario di Assad: dall’altra parte, i ribelli, che hanno iniziato con sentimenti da Primavera Araba egiziana, con la gente che scendeva in piazza disarmata e manifestava pacificamente senza fucili in mano, ma sono poi finiti monopolizzati dagli elementi più integralisti. Sino ad arrivare oggi al coinvolgimento delle frange più estreme come Al Qaeda.



Qualcuno ha ipotizzato una divisione territoriale fra alawiti e sunniti. Secondo lei è una strada percorribile?

E’ uno dei tanti scenari teorici possibili. L’idea sarebbe quella di ritagliare il territorio in cantoni più piccoli, come era stato fatto nella ex Jugoslavia. Per esempio, in un’area accanto al Libano  potrebbe essere formata una sorta di feudo dei fedeli di Assad, mentre vicino alla Turchia è localizzata la maggioranza delle comunità sunnite. Ora come ora, però, tutto ciò mi sembra  prematuro, poichè queste linee di divisione sono più sulla carta che nella realtà. L’unico fatto certo è che siamo di fronte ad un bagno di sangue sempre più crudele ed efferato.



 

Sino a quando, dunque, l’Occidente e la comunità internazionale possono assistere a tutto ciò senza intervenire?

 

Ancora una volta, il parallelismo è con la guerra in Bosnia e con il modo in cui si è conclusa. Solo quando i militari di Karadzic hanno attaccato i caschi blu dell’Onu, inattivi sul territorio sino ad allora, l’intera Europa e la Comunità internazionale hanno reagito. Da allora, in pochissimi mesi, la guerra è stata fermata. L’unico scenario possibile in Siria, non meno drammatico, è questo.

 

Che ruolo potrebbe avere, invece, la Turchia?

 

A Erdogan prudono le mani nei confronti di Assad. Al prossimo incidente, quando non si tratterà più solo di un colpo di mortaio, ma di una carneficina appena oltre il confine fra Siria e Turchia, quest’ultima sarà costretta ad intervenire. Queste mi sembrano le uniche soluzioni percorribili, dal momento che l’Occidente sembra non avere né una strategia politica, né diplomatica, per fermare questo eccidio.

 

Perchè la questione dei cristiani sembra essere, troppo spesso, dimenticata dalla comunità Internazionale?

 

I cristiani sono presi in mezzo fra un esercito sanguinario e gruppi di ribelli che si sforzano di essere più crudeli dei loro avversari. Posso capire che alcuni sperino in un ritorno di Assad, che garantiva un minimo di tolleranza e di pluralismo interreligioso: occorre, però, ricordare che il dittatore siriano non è certo un uomo di pace e difensore degli interessi cristiani, bensì il più alto rappresentante di una setta minoritaria, che cercava di tenersi buone le altre minoranze etniche e religiose del Paese. In ogni caso, ora non è più tempo di giudizi.

 

Quindi?

 

Il problema è che entrambe le fazioni in lotta stanno preparando regimi integralisti da fare invidia all’Iraq di Saddam e, purtroppo, nel mezzo ci sono i cristiani.