Avendo impostato i miei pezzi come un diario di viaggio, non ho mai descritto nel dettaglio a che punto è la sfida tra Obama e Romney. In molti mi chiedono dall’Italia come andrà a finire e che aria si respira. Provo a raccontarvelo.
Il primo punto, da cui è inevitabile partire, è la differenza tra la percezione che abbiamo in Italia di come sta procedendo la campagna e di quella che invece si avverte qui. Faccio questa premessa perché la stampa italiana è storicamente un po’ “tifosa”: il caso delle elezioni americane è emblematico. Se si tolgono Libero, Giornale e qualche altra ex “gazzetta del regime”, in Italia vi è sostanzialmente un appoggio generalizzato (seppur con vari distinguo) alla candidatura del presidente uscente. Questo si traduce in una lettura dei fatti un po’ distorta, per cui l’idea di fondo è che la competizione sarà durissima, sarà una conta all’ultimo voto, ma alla fine, lo sappiamo tutti, Obama vincerà.
Bene, non è così. Dal complicatissimo puzzle di Stati e delegati, che dopo proveremo ad analizzare, non sarebbe assolutamente una sorpresa se uscisse vincitore Romney. Le percentuali, ad oggi, sono 50-50. Proviamo a vedere quindi quali sono i fattori favorevoli e contrari all’uno e all’altro candidato.
Romney ha dalla sua un vantaggio importante, il trend storico dell’ultimo mese. Dalla débâcle di Obama nel primo dibattito in poi, la rincorsa dell’ex governatore del Massachusettes è stata inarrestabile. Ha rosicchiato tutto il vantaggio che aveva il presidente uscente (che era arrivato anche a 6-7 punti), arrivando persino a scavalcarlo (nei sondaggi nazionali sul voto popolare). E sappiamo che chi arriva con il vento in poppa è sempre favorito. Un altro elemento sono i soldi: Romney nell’ultima settimana ha speso 82,9 milioni di dollari contro i 44,6 di Obama. Sostanzialmente il doppio. E qui la corrispondenza diretta tra soldi spesi e voti presi è infinitamente maggiore che da noi. Perché molto si gioca su spot televisivi costosissimi e microtargeting sul web.
Dalla sua Obama ha invece che nella conta dei delegati sicuri è abbastanza avanti. Ne vengono assegnati 201 sicuri al presidente e 191 allo sfidante. La quota per vincere è 270 delegati. La partita sarà decisa da 11 swing states: Colorado (9 delegati), Florida (29), Iowa (6), Michigan (16), Nevada (6), New Hampshire (4), North Carolina (15), Ohio (18), Pennsylvania (20), Virginia (13), Wisconsin (10). 



Secondo la media dei sondaggi dell’ultima settimana la situazione è questa: in Colorado i candidati sono assolutamente appaiati, in Florida (+1%), North Carolina (+3,3) e Virginia (+0,5) è avanti Romney, mentre in Iowa (+1), Michigan (+3), Nevada (+2,4), New Hampshire (+1), North Carolina (+3,3), Ohio (+2,4), Pennsylvania (+4,6) e Wisconsin (+2,3) è in vantaggio Obama. Se finisse così, Obama vincerebbe.
L’altro elemento forte a vantaggio di Obama è la rete dei volontari. La rete di Organizing for America, il gigantesco comitato elettorale permanente dell’ex senatore di Chicago, è molto più strutturata, capillare ed efficiente di quella di Romney. Un’arma decisiva nei quattro giorni del Get Out the Vote, prima del 6 novembre. In un Paese in cui devi letteralmente trascinare parte dell’elettorato alle urne, uno strumento di questo tipo può rivelarsi decisivo.
E infine c’è Sandy, il fattore che deciderà le elezioni, ma non si ancora per chi. Al momento Obama se la sta cavando molto bene: è rimasto a Washington a coordinare i soccorsi, abbandonando la campagna elettorale. In questo modo ha, di riflesso, completamente oscurato Romney: non sono più i due sfidanti, uno è il “Commander in chief” e l’altro è l’avversario. Una cosa che da queste parti conta parecchio. Inoltre Obama ha segnato un altro punto importante quando il governatore del New Jersey Chris Christie, repubblicano, l’ha pubblicamente ringraziato ed elogiato per la gestione dell’uragano, accreditandolo come riferimento della nazione e presidente super partes.
Ma la gestione di queste situazioni è sempre delicatissima: basta un ritardo nei soccorsi o impiegare un tempo eccessivo per far rientrare i cittadini nelle loro case, perché Sandy si tramuti in un insperato aiuto a Romney. L’unica cosa certa è che l’uragano sarà uno dei fattori decisivi per il voto del 6 novembre.
Mancano sei giorni e la partita, come abbiamo visto, è più in bilico che mai. D’altronde gli Stati Uniti sono abituati a queste sfide al cardiopalmo: Bush vinse contro Gore per 537 (contestatissimi) voti in Florida. La sensazione è che il 6 novembre ci aspetti un’altra notte come quella.



 

Vicesegretario nazionale dei Giovani Democratici, Giacomo Possamai si divide tra Vicenza (dove vive), Bologna (dove studia Giurisprudenza) e Roma. Attualmente segue in prima persona la campagna elettorale di Barack Obama dagli Stati Uniti.

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