Se non è guerra, poco ci manca. La tensione tra Siria e Turchia, iniziata ufficialmente a giugno dopo l’abbattimento del bombardiere F4 turco da parte della contraerea siriana, sta rapidamente lasciando il mondo delle intenzioni a favore di un reale conflitto militare. Riunito a porte chiuse, il Parlamento di Ankara ha da poco approvato la mozione presentata dal premier Recep Tayyip Erdogan e ha autorizzato per un anno possibili operazioni militari turche in Siria. Valeria Giannotta, ricercatrice in Relazioni internazionali della Cattolica di Milano che da anni vive a Istanbul, spiega a IlSussidiario.net quanto sia stata immediata la reazione di Erdogan e del ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, in particolare dopo il colpo di mortaio lanciato dalla Siria in territorio turco: “Senza aspettare il verdetto del Parlamento – ci dice – hanno deciso di inviare nella notte i primi caccia per bombardare determinati punti in Siria”.
Come è cambiato in questi mesi l’atteggiamento della Turchia nei confronti della crisi siriana?
Allo scoppio delle rivoluzioni a Damasco, inizialmente la Turchia ha deciso di restare a guardare senza operare alcun intervento. Questo in particolare perché le relazioni con la Siria, che avevano subìto un forte miglioramento rispetto a quelle ben più critiche degli anni Novanta, erano sostenute da un forte interesse economico. L’iniziale atteggiamento di Erdogan nei confronti di Assad era quello che può avere un fratello maggiore nel dispensare consigli verso il minore riguardo le politiche da attuare anche in base alle richieste della popolazione. Ben presto però la situazione è precipitata.
La Turchia in qualche modo sperava in questo “passo falso” siriano?
Effettivamente la Turchia non aspettava altro. Già nel mese di giugno, inviando i caccia in perlustrazione che poi sono stati abbattuti, ha voluto in qualche modo disturbare il “can che dorme” proprio per attendere delle reazioni e quindi intervenire.
Qual è l’attuale atteggiamento dell’opposizione all’interno del Parlamento turco?
Il malcontento all’interno dell’opposizione è evidente, anche se Erdogan e i suoi portavoce continuano a ribadire che la mozione approvata oggi non rappresenta una dichiarazione di guerra. La Turchia, nonostante possa sembrare il contrario, si dice sempre a favore di una politica pacifista, ovviamente potendo contare sull’appoggio della Comunità internazionale.
Quanto manca a suo giudizio alla guerra vera e propria?
Probabilmente l’attuale situazione non sfocerà in un confronto aperto, almeno nel breve periodo. Gli interessi sono ancora molto forti e attaccare la Siria vorrebbe dire fomentare un focolaio interno in continua escalation. La questione curda è infatti di fondamentale importanza per la stabilità della Turchia, quindi fronteggiare la Siria significherebbe instaurare una sorta di “effetto spillover” (di contagio, squilibrio ndr) non solo all’interno del Paese ma anche della Regione.
Quali sono gli attuali rapporti della Turchia con i curdi?
Attualmente vi è una forte tensione con i segmenti curdi, soprattutto nell’area sud-est. Anche se spesso non vengono riportati dalla stampa internazionale, gli attentati e gli scontri frontali tra esercito turco e esponenti del PKK sono all’ordine del giorno. La questione curda resta dunque all’ordine del giorno, tanto che anche durante Congresso del partito di Erdogan, tenutosi domenica scorsa, era atteso un importante confronto su questo tema, ma non è avvenuto.
La Turchia non potrebbe modificare tali rapporti con i curdi per affrontare più agevolmente la crisi siriana?
Il rapporto con i curdi è davvero una questione annosa. L’unico mezzo che il governo turco ha a disposizione per fronteggiare la minaccia del terrorismo curdo è quello militare, che in più occasioni si è dimostrato inefficace. Dall’altra parte i curdi non sono disposti a intavolare alcun tipo di trattativa a livello pacifico con i turchi quindi, finché l’attuale partito curdo in Parlamento non si allontanerà drasticamente dalle azioni del PKK, condannandole concretamente, con ogni probabilità un compromesso non potrà mai essere raggiunto.
Come sta vivendo l’attuale situazione il popolo turco?
In realtà i turchi sono sempre predisposti a una sorta di tranquillità interna e con i Paesi vicini, riprendendo il motto di Ataturk che recita “pace a casa, pace nel mondo”. Si tratta di un atteggiamento sostanzialmente nuovo per il popolo turco, prima sempre molto isolazionista nei confronti della politica estera. Poi, con l’ascesa al potere dell’AK Parti di Erdogan, le cose sono cambiate. Osservando anche i vari social network, mi sembra di capire che l’attuale atteggiamento turco rispecchi una volontà di stare insieme alla Siria per difendere la pace, ovviamente riconoscendo i danni che l’attuale regime di Assad sta provocando.
(Claudio Perlini)