Tamburi di guerra al confine tra la Siria e la Turchia. Mercoledì alcuni ordigni dell’Esercito di Bashar Assad sono finiti oltreconfine, uccidendo cinque civili turchi. Immediata la reazione di Ankara, che nella notte ha preso di mira delle postazioni militari vicino a Tel Abyad, in Siria, e nella regione di Rasm al Ghazal. Il bilancio per ora è di cinque militari siriani morti e 15 feriti. La Turchia è un membro della Nato, e una dichiarazione di guerra da parte della Siria porterebbe a un intervento dell’intera Alleanza Atlantica. Ilsussidiario.net ha intervistato Gianni De Michelis, ministro degli Esteri dal 1989 al 1992.
E’ possibile che l’Italia sia coinvolta in una guerra sotto l’egida della Nato?
No, e non credo che neanche la Nato sarà coinvolta, almeno se non peggiora la situazione sul terreno. Cioè se non vi sarà una vera e propria aggressione della Siria alla Turchia, e non un semplice sconfinamento come è avvenuto mercoledì.
Per quale motivo ritiene che non vi siano i margini per un intervento Nato?
Perché quanto è avvenuto mercoledì è stato un incidente. Sono state ammazzate cinque persone in territorio turco, ma non si è trattato di una dichiarazione di guerra nei confronti della Turchia.
Eppure Erdogan morde il freno …
Il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, digrigna i denti ma non vuole prendersi la responsabilità di un intervento armato.
Ma il Parlamento lo ha autorizzato a intervenire …
Erdogan continuerà a utilizzare questa autorizzazione né più né meno come ha fatto nella notte tra mercoledì e giovedì, e cioè rispondendo agli sconfinamenti siriani con degli altri sconfinamenti da parte turca. Questa però non è ancora una dichiarazione di guerra e quindi l’entrata in un conflitto.
Perché la comunità internazionale è così riluttante a intervenire in Siria?
E’ molto difficile intervenire come era avvenuto in Libia, in quanto in quel caso c’era la copertura dell’Onu e non c’era un atteggiamento di Cina e Russia così a favore di Gheddafi come è stato a favore di Bashar Assad. Naturalmente inoltre la situazione siriana è molto diversa da quella libica …
In che cosa è diversa?
E’ diversa perché, mentre nel caso della Libia si trattava soltanto di Gheddafi, del suo gruppo e al massimo della sua tribù e poche altre, nel caso della Siria a detenere il potere non è un uomo solo al comando, ma un partito, il Ba’ath, che ha qualche milione di iscritti compresi molti sunniti. Ci sono inoltre di mezzo minoranze religiose come gli alawiti e i cristiani, che tendono a stare più dalla parte di Assad che dei ribelli. E c’è anche la presenza curda, e quindi il rischio di una guerra civile. E’ la ragione per cui la situazione in Siria rimane drammatica, ma non arriva a una definizione come era avvenuto in Libia, perché le forze in campo sono più equilibrate.
Chi sperava in un intervento straniero che risolvesse il conflitto resterà deluso?
Per il momento sì. Tutti sono molto cauti, anche coloro che appoggiano le due parti in causa, gli oppositori da un lato e Assad dall’altra. Esercitano le loro pressioni sul terreno politico, ma si guardano bene dal lasciarsi coinvolgere in un vero e proprio conflitto. Naturalmente sono convinto che alla lunga la posizione di Bashar Assad risulterà insostenibile. Prima o poi anche i suoi sostenitori cercheranno una soluzione di compromesso che porti alla sostituzione del presidente, sempre adottando però una formula intermedia.
Se i sostenitori di Assad hanno resistito per un anno e mezzo, perché mai dovrebbero cedere in futuro?
Perché Bashar Assad ha dimostrato di non essere in grado di vincere nettamente sul terreno. Ormai la Siria è divisa territorialmente, e da questo punto di vista Assad ha la forza militare per resistere, ma non per mettere fine alla guerra civile.
Il Belgio ha proposto di creare delle zone siriane protette. Che cosa ne pensa?
Come è avvenuto con la no fly zone in Libia, prima o poi queste zone porterebbero a un coinvolgimento militare della comunità internazionale, che sarebbe trascinata in un vero e proprio conflitto. E’ la ragione per cui Usa ed Europa sono molto cauti nell’accettare questa proposta.
Qualcuno ha anche ipotizzato che ad attaccare la Turchia in realtà siano stati i ribelli, per creare un conflitto regionale …
Questo è impossibile dirlo, almeno senza avere notizie dirette e di prima mano. In questi casi l’esperienza mi ha insegnato che non bisogna fare ipotesi che non siano suffragate da elementi certi o quasi certi.
(Pietro Vernizzi)