“L’unico obiettivo dell’Occidente in Siria è umiliare l’Iran sconfiggendo il suo alleato Assad. Pur di danneggiare Ahmadinejad, gli Usa sono disposti ad armare i ribelli senza distinguere tra comuni cittadini, membri di Al Qaeda, jihadisti e islamisti. Per Europa e America i propri interessi contano di più del rischio di scatenare una guerra in cui i cristiani finiranno per essere presi di mira dai sunniti”. Lo afferma Robert Fisk, storico inviato dell’Independent, tra i più profondi conoscitori del Medio oriente. Ilsussidiario.net lo ha contattato per chiedergli di commentare gli scontri armati al confine tra Turchia e Siria, a proposito dei quali il premier Recep Tayyip Erdogan ha sottolineato che Ankara “non vuole innescare una guerra nella regione”.



Ritiene che la Nato autorizzerà un intervento della Turchia in Siria?

Per il momento non credo che le forze della Nato interverranno militarmente in Siria. La Nato non vuole farlo né lo farà, ma accetterà solo una reazione limitata da parte della Turchia. La Nato non vuole restare coinvolta in un’altra guerra in Medio Oriente, dopo che gli Usa hanno perso l’Iraq e la Nato sta perdendo l’Afghanistan. La situazione della Siria, l’alleanza di Assad con Hezbollah e Iran, fanno sì che qualsiasi coinvolgimento della Nato trasformerà una piccola guerra in un conflitto di proporzioni giganti.



Quali possono essere le conseguenze per il Libano della crescente tensione?

In Libano si hanno sempre riflessi dei conflitti regionali, in parte perché la composizione confessionale del Paese fa sì che ogni nazione del Medio Oriente si senta rappresentata in una parte della comunità libanese. Inoltre la maggior parte delle singole comunità presenti in Siria, come cristiani maroniti, cristiani ortodossi, drusi, alawiti, sunniti e sciiti, hanno a loro volta una componente all’interno del Libano. Quest’ultimo è una sorta di specchio che riflette tutti i colori della regione. Dopo 15 anni di guerra civile, i giovani libanesi non intendono tollerare il suo ripetersi, e quindi non dobbiamo aspettarci che il Paese si lascerà coinvolgere dal conflitto siriano.



E le conseguenze per la Palestina?

Hamas ha abbandonato il suo protettore a Damasco, Assad, e l’ombrello iraniano. Essendo un’organizzazione sunnita si sente molto meglio difesa dagli Stati sunniti del Golfo come Arabia Saudita e Qatar. Prima delle rivolte il regime siriano si presentava come lo Stato della resistenza per la Palestina, da cui provenivano tutte le richieste di una restituzione dei territori occupati e della scelta di Gerusalemme come capitale della Palestina. Con l’attuale tragedia che si sta consumando in Siria, il governo di Damasco non può più badare ai palestinesi e deve pensare soltanto a quanto avviene all’interno dei suoi confini.

 

Che cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro?

 

L’esempio dell’Egitto ci può aiutare. Mubarak ha sempre rivendicato che il Cairo era il centro del mondo arabo, e in effetti l’Egitto è il Paese chiave per la pace in Medio Oriente. Oggi Morsi sta cercando di ripristinare una vera leadership egiziana nel mondo arabo, contrapponendosi alla posizione filo-americana che fu di Mubarak.

 

Caduto Assad, un nuovo leader in Siria potrebbe fare la stessa cosa?

 

L’Occidente farà pressioni perché qualsiasi nuovo leader siriano si inginocchi alle richieste di Usa e Israele. Quello che ci dobbiamo chiedere è se il successore di Assad sarà in grado di reggere a queste pressioni.

 

Quello che si sta delineando è uno scontro regionale tra Islam sunnita e sciita?

 

Noi occidentali amiamo tracciare queste distinzioni tra sunniti e sciiti, drusi e cristiani, curdi e sunniti, pubblicando mappe dei Paesi arabi in cui si evidenzino questi conflitti per mostrare quanto sia diviso il Medio Oriente. Per lo stesso motivo dovremmo pubblicare mappe delle aree bianche e nere di Washington, della composizione religiosa di New York, di quella linguistica di Montreal.

 

E quindi?

 

La vera questione non è se ci sarà una guerra tra sunniti e sciiti, ma perché noi continuiamo a parlarne come se fosse una realtà anche se non si è verificata da anni. Forse perché l’Occidente desidera che questa guerra si scateni? Il mio sospetto è che il conflitto tra sunniti e sciiti sia stato parte del piano Usa per sfilarsi dall’Iraq.

 

Come valuta la politica occidentale in Siria?

E’ totalmente mirata al rovesciamento del regime di Assad, con il vero obiettivo di danneggiare l’Iran. La guerra del 2006 tra Israele ed Hezbollah è avvenuta in parte per distruggere Hezbollah, in quanto braccio armato dell’Iran nel mondo arabo. E’ stata un fallimento in quanto Israele ha perso. Poiché Hezbollah non poteva essere sconfitta, il nuovo obiettivo è diventato la Siria.

 

Non penserà che la rivolta in Siria sia nata per volontà di Washington?

 

Non dico questo. La rivoluzione è nata da persone che chiedevano dignità e si ispiravano a Tunisia, Egitto e Libia. Ma non appena si è trasformata in uno scontro armato, l’Occidente vi ha visto l’opportunità di distruggere l’unico alleato arabo dell’Iran, cioè Assad. E lo ha fatto finanziando l’acquisto di armi da parte dei ribelli, senza fare alcuna distinzione. All’America non importa nulla che siano disertori dell’Esercito siriano, comuni cittadini che hanno preso le armi per difendere le famiglie, oppure elementi di Al Qaeda, jihadisti e islamisti. L’Occidente è pronto a sostenerli chiunque essi siano, anche se ciò dovesse provocare una guerra tra i sunniti da un lato e cristiani, drusi, alawiti e sciiti. E’ una posizione molto pericolosa, perché significa sostenere una delle due parti in causa nella guerra civile siriana con il solo obiettivo di umiliare l’Iran.

 

Che cosa c’è invece dietro la posizione pro Assad della Russia?

 

Sulla Libia i russi sono stati messi all’angolo. La loro intenzione infatti non era quella di consentire alla Nato di bombardare Gheddafi, un alleato di Mosca. Finché c’era il Colonnello, la Russia poteva usare liberamente i porti di Tripoli e Bengasi, ora che li ha persi rimane loro quello siriano di Tartus, che è molto importante.

 

E’ questa la ragione per cui difendono il dittatore siriano?

 

No, perché chiunque sarà il successore di Assad, dovrà invariabilmente mantenere buone relazioni con la Russia, che potrà dunque continuare a usare il porto di Tartus. Il vero motivo per cui i russi difendono Assad è che quando pensano alla Siria, viene loro in mente la Bosnia e la Cecenia. E non vogliono che in Siria avvenga ciò che stanno tuttora affrontando in Cecenia.

 

(Pietro Vernizzi)

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