Secondo fonti del quotidiano spagnolo Abc, Hugo Chávez starebbe organizzando un esercito armato da mobilitare in caso di sconfitta alle presidenziali di oggi, 7 ottobre, dove spera nella sua terza elezione consecutiva. Quasi 19 milioni di venezuelani sono chiamati a scegliere il presidente per il periodo 2013-2019 e il candidato di opposizione per Mesa de la Unidad Democrática, Henrique Capriles, risveglia alcune preoccupazioni tra il presidente e il suo enturage per aver guadagnato terreno nei sondaggi preelettorali. Invero, l’ultimo sondaggio diffuso di Datanálisis indicherebbe che Hugo Chávez stia mantenendo un vantaggio sul suo avversario di 14,7 punti percentuali. Mentre per l’Instituto Venezolano de Análisis de Datos (Ivad) Chávez avrebbe il 50,3% dei voti, mentre a Capriles ne sarà destinato il 32,2%. Il governo, però, sembra voler essere pronto ad ogni evenienza. Remi (Redes de Movilización Inmediata) è il nome prescelto per il gruppo di “militanti rivoluzionari” pronti ad intervenire.



La Remi non è nata ieri: per questa operazione sarebbero stati messi in allerta circa 3.800 uomini ai quali, a partire dallo scorso giugno, sono state recapitate armi, benché i loro compiti non siano meramente militari, ma più propriamente rivolti al controllo del territorio. Remi si ispira alle unità paramilitari iraniani Basij (combattente volontario) in grado di contrastare la “Rivoluzione Verde” del 2009 e ha il compito, sempre secondo Abc, di disperdere l’opposizione, detenerne i dirigenti, organizzare mobilitazioni nelle strade e garantire il controllo territoriale. Gli stessi aderenti si incaricheranno, infatti, di vigilare sul 49% dei centri elettorali, mentre l’esercito ordinario lo farà per il restante 51%. Storicamente, invece, del processo si è sempre occupato quest’ultimo ed è dunque difficile non vedere nella vigilanza del Remi un proposito chiaro di controllo del processo elettorale. Se si avranno scontri e morti, poi, ci si troverà di fronte ad atti di civili contro civili, e il governo di Chávez non ne prenderà la responsabilità.



Dalle elezioni, secondo una dichiarazione del presidente venezuelano nel corso della campagna elettorale (trasmessa dalla televisione pubblica) ai lavoratori statali nello stato di Vargas, dipende “in buona misura il futuro dell’umanità”. Perché, si chiede il presidente, c’è tanto interesse per il Venezuela? Perché “qui si gioca la battaglia tra la bestia capitalista e il progetto umano, il progetto socialista, la speranza della specie umana”. Forse non la speranza per la specie umana, ma è evidente che dall’elezione del nuovo presidente dipende, almeno in parte, il futuro dell’America Latina. Il chavezismo, il socialismo del secolo XXI, infatti, ha avuto seguito ideologico ed economico in buona parte del subcontinente, non solo nei paesi andini, ma anche nel Cono Sur. I proventi del petrolio venezuelano hanno contributo a creare una vera alternativa al modello neoliberale imposto all’America Latina durante gli anni Novanta e a finanziare i governi indigenisti, il cui caso più eclatante è Morales in Bolivia.



Capriles, da parte sua, ha negato l’appoggio dell’ex presidente colombiano Álvaro Uribe, ma pare evidente che una svolta nel paese sarebbe gradita dagli Stati Uniti e ai suoi alleati latini. Dunque la partita non si gioca solo sul suolo venezuelano: l’eventuale abbandono di Chávez significherebbe la frammentazione del progetto socialista costruito dal 1999 e dispiegato nel subcontinente, ma anche la fine dei blocchi sovraregionali tanto sperati da Chávez stesso, che ambiscono a sempre maggior potere  nel contesto del movimento dei paesi non allineati.