Mercoledì, tardo pomeriggio. È Halloween. I bambini passano di porta in porta recitando il “trick or treat” di sempre. E i bambini sono i bambini di sempre, con i loro costumi e i loro cestelli di sempre. È cominciato in sordina, come con pudore, ma adesso la nostra Senator Street è affollata. Come sempre. Sono “i grandi” che ci sono di meno. Le famiglie sulla porta di casa con scatole piene di dolcetti saranno una metà rispetto agli anni passati. I nostri “next door”, quelli della porta a fianco, hanno tirato fuori solo parte degli addobbi lugubramente festosi che di solito esibiscono. Qualche scheletro, un paio di mani amputate, un impiccato, un pipistrello poco convinto. Questo nostro carnevale macrabo cade troppo a ridosso della visita irruente di Sandy, e i grandi sembrano non aver troppa voglia scherzare e celebrare questa strana festa. Certamente non ci sono arrivati ben preparati, perchè eravamo tutti indaffarati a prepararci ad altro.



Il ritorno alla normalità non è semplice. Siamo quasi tutti a casa dal lavoro, tutti sono a casa dalla scuola. Noi – anche se non riusciamo a farlo sapere a nessuno visto che nessun mezzo di comunicazione ci funziona – stiamo bene. Verizon, la “madre di tutte le reti telefoniche” è KO, allagata, e non si sa quando sarà in grado di rimettersi in sesto. Chi invece viaggia a AT&T il telefono riesce ad usarlo (abbastanza). Noi stiamo bene e, a parte telefono, internet e televisione, non abbiamo perso niente, ma tre milioni sono ancora senza elettricità e migliaia hanno dovuto abbandonare le loro case. Non ci possiamo azzardare a lamentarci per telefono e compagnia quando a poche miglia da qui c’è quel che c’è. Si fà quel che si può e si spera che il freddo che comincia a farsi vivo non si faccia troppo vivo. Madre natura ci ha già dato una lezione con Sandy, speriamo non ce ne voglia subito dare un’altra col freddo. Siamo tutti preoccupati, è evidente ed inevitabile. Preoccupati per gli sfollati, per quelli che hanno perso tanto se non tutto, ma anche per noi stessi. Anch’io, pur senza aver perso granchè. In tempi come questi in cui lavoro e denaro mancano, chi vuol restare a casa con le mani in mano? Chi potrebbe permetterselo?



Questo mondo supertecnologico ed internettiano che abbiamo creato e di cui beneficiamo non sembra essersela cavata tanto bene con l’acqua ed il vento dell’uragano. Tante volte, lungo i miei trasferimenti quotidiani in subway, mi son trovato a pensare come fosse quasi impossibile “far funzionare” una metropoli come New York… strade, subway, treni, autobus, aeroporti ….pensate che complessità di attività e compiti per far girare giorno e notte una baracca del genere. Adesso non funziona niente. Adesso è tutto fermo. Nella citta che non dorme mai migliaia sono impegnati senza riposo a pompar via acqua da tunnels e gallerie, a riallacciare e riattivare i sistemi elettrici, a raccogliere macerie e rottami, a ripulire le strade, a recuperare il recuperabile. E gli altri a casa. A casa, per quanto ci si possa dar da fare, si è costretti a pensare. Nella frenesia quotidiana della vita newyorkese – di qualsiasi vita in qualsiasi angolo del mondo – di pensare se ne può fare a meno. Oggi no. Pensi a quel che è successo, a quel che non puoi fare, a quel che ti manca, a quel che non sai dare, a quello che nessuno sembra saperti dare. Quando pensi e non ci sei abituato può far paura, molto più degli scheletri ed impiccati di Halloween. Ti prende il “blues”, la tristezza, il “desiderio di un bene assente”. Forse è questa la sfida più tagliente che Sandy c’ha lasciato. Forse è il suo misterioso atto d’amore.

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