Ci sono tante cose che diamo per scontate. Troppe. La nostra giornata ne è piena. Poi capita un uragano, dove e come proprio non te l’aspetti, e la quotidianità si ribalta come un calzino. Sandy è arrivato due settimane fa, ma ancora lo sentiamo, parecchio. Se n’è andato, ma ha lasciato le sue conseguenze, un po’ come il peccato originale dopo il battesimo.
Stasera uscendo dall’ufficio sono andato diritto per Rector Street perchè è li che ogni sera mi aspetta il treno più lento del mondo per portarmi a casa. Lento sì, ma sempre presente! E invece arrivo alla stazione, perso nei miei pensieri, e sbatto il naso contro il nastro giallo che mi ricorda che anche la subway paga il prezzo del mare che ha deciso di andare dove di solito non va. La stazione è chiusa. Lo sapevo, ma pure voi sapete com’è: si va dietro ai propri passi, si segue una routine che è diventata la traccia che è ovvio ritrovare omne die. E quando questa benedetta e di solito poco amata routine ci tradisce, ci troviamo addosso uno strano senso di smarrimento. Perchè l’avventura ce lo scegliamo noi di viverla, l’imprevisto no. Il tragitto verso casa è lungo ed affollato sebbene sia tardi e la rush hour è passata da un pezzo. Mi tocca anche camminare un tot perché al termine di un tragitto che si è fatto complicato la “R”, che mi porta a due passi da casa, manca all’appello. Ma questo è ben poco rispetto ai gravissimi disagi di chi ancora non ha la corrente elettrica e non ha proprio più niente perché mare, vento e sabbia hanno sepolto, se non portato via o fatto scomparire nel nulla tutto quel che avevano.
Quello della maggior parte dei newyorkers è una “complicazione” che si prolunga più di quanto ci si aspettasse, ma per alcuni Sandy ha portato grande sconquasso e pena. Sembra impossibile che una cosa del genere succeda in una metropoli, sembra impossibile che a distanza di tanti giorni ci siano edifici qui a Downtown Manhattan che non ce l’hanno ancora fatta a riaprire i battenti. E si ferma il lavoro, rallenta tutta questa portaerei spaziale che è New York City. Manca pure la benzina. Le raffinerie del New Jersey che approvvigionano l’area metropolitana hanno serie difficoltà a funzionare.
Le gas stations sono andate a secco molto presto, e fare rifornimento è diventato qualcosa tra la caccia al tesoro ed una processione penitenziale: prima bisogna trovare un rifornitore aperto, e poi sperare che dopo un’ora e più di fila sia rimasto qualcosa per te in fondo al pozzo. È saltata pure la maratona. New York c’ha provato, ma non ce l’ha fatta. Ad impossibilia nemo tenetur. E New York la maratona la voleva.
La gente si aiuta, si raccolgono e portano generi di prima necessità, soprattutto i giovani vanno nelle zone più colpite e rispondono alla chiamata di chi li vede passare su quel che è rimasto delle stradine lungo la costa. Qui anche l’esito delle elezioni è passato un po’ in secondo piano. Già non si percepivano quell’entusiasmo e senso di speranza che avevano accompagnato la prima elezione di Obama. Adesso c’è’ soprattutto un acuto senso di preoccupazione. Anche se tutti cercano di “move on”, di scrollarsi di dosso il peso delle conseguenze di Sandy, la routine che non riesce a riprendere il passo ci ricorda che diamo tante cose per scontate. Troppe.