Con la crisi tra Israele e Hamas che prende di ora in ora una piega sempre più drammatica, il pensiero va a tutta l’area del Medio Oriente, possibile teatro di un nuovo conflitto arabo-israeliano. E il pensiero va a anche alla minoranza cristiana, da sempre schiacciata tra ebrei e musulmani. Proprio a ridosso del confine israeliano orientale c’è la capitale della Giordania, Amman. Ilsussidiario.net ha avuto modo di parlare con il suo vescovo, Mons. Maroun Lahham, già arcivescovo di Tunisi. Una comunità cristiana numerosa quella di Amman, sede del patriarcato giordano e che ha sempre dato testimonianza di accoglienza a tutte le vittime di guerra: “Non ci sono distinzioni fra cristiani e musulmani. Noi giordani, cristiani e musulmani, abbiamo accolto 250mila siriani in fuga e per la maggior parte erano devoti all’Islam. Noi apriamo le nostre scuole parrocchiali a tutti”.
Monsignore, sembra di trovarsi all’alba di un nuovo possibile conflitto medio orientale. Come è la situazione della comunità cristiana in questo contesto?
Il conflitto non è fra ebrei e musulmani ma fra israeliani e palestinesi. Lo scontro non è mai stato religioso ma, è sempre stato e lo è tutt’ora, di colore politico sebbene alla fine coinvolga implicazioni religiose. I cristiani palestinesi soffrono, non perché cristiani in quanto tali, ma perché sono palestinesi e sono costretti a vivere sotto l’occupazione e in un clima di grande ingiustizia. Dunque non c’è una sofferenza di tipo religioso ma di tipo sociale, politico ed economico. Sotto questo aspetto, cristiani e musulmani sono davvero tutti uguali.
In occidente però è giunta notizia di cristiani palestinesi obbligati a convertirsi all’islam, le risulta?
Ci sono stati due casi, però quando i loro genitori hanno avuto il permesso di parlare con i figli gli è stato detto che avevano scelto l’islam per pura convinzione. Ammesso che questi casi fossero veri, si tratta comunque di due soli su una moltitudine: c’è sempre qualche esaltato musulmano che vuole convertire tutti all’islam ma, in linea generale, l’islam palestinese non è mai stato fanatico. Si tratta di un islam profondo e radicato ma non obbliga la gente a passare dall’altra parte, anche se possono esistere casi isolati. In ogni caso, non occorre mai generalizzare.
Un missile è arrivato vicinissimo a Gerusalemme, la Città Santa delle tre religioni monoteiste.
Ho sentito che il missile è caduto su un insediamento ebreo vicino a Gerusalemme ma devo ancora verificare. E’ vero che nessuno aveva mai attaccato la Città Santa, negli ultimi quarant’anni. I missili di Hamas che prima potevano raggiungere i 40 chilometri, ora ne fanno 50 o 60 e possono arrivare a Tel Aviv, Gerusalemme, Ashkelon ed Hebron. Oggi la situazione è molto più pericolosa di qualche anno fa.
Lei teme che, a questo punto, Israele possa attaccare via terra la Striscia di Gaza?
Spero di no, ma sono consapevole che se i missili continueranno a cadere su Tel Aviv, gli ebrei non lo sopporteranno, sebbene questo non comporti vittime. Il terrore psicologico sarà troppo forte e un attacco è possibile.
Come comunità cristiana ad Hamman, in passato e in previsione di altri attacchi, avete offerto ospitalità ai rifugiati, in fuga da queste zone di guerra. Sarà ancora così?
Certamente e voglio chiarire una cosa a cui tengo molto, anzi moltissimo: non ci sono distinzioni fra cristiani e musulmani. Noi giordani, cristiani e musulmani, abbiamo accolto 250mila siriani in fuga e per la maggior parte erano devoti all’islam. Noi apriamo le nostre scuole parrocchiali a tutti e abbiamo tutto l’interesse a mostrarci prima di tutto giordani, e solo dopo cristiani e musulmani.