“La politica di Israele è la migliore propaganda per gli estremisti di Hamas e i terroristi jihadisti. Più la popolazione di Gaza si sente aggredita, e più va ad alimentare le file dei terroristi come manodopera a basso costo. Di fronte a quanto sta avvenendo, l’Italia deve fare sentire la sua voce e schierarsi dalla parte dei più deboli, cioè dei palestinesi, senza però giustificare la totale inadeguatezza della classe politica di Hamas”. Ad affermarlo è l’onorevole Giuseppe Cossiga, ex sottosegretario alla Difesa ed ex vice-presidente dell’Associazione Italia-Palestina.
Onorevole Cossiga, la situazione a Gaza sembra peggiorare. Come andrà a finire?
Ricordo come andarono le cose nel 2006, quando Israele tecnicamente subì una sconfitta militare da parte di Hezbollah nel Sud del Libano. Per lo Stato ebraico fu una delle più grandi umiliazioni nella sua storia. Alla fine riuscì a spuntarla, ma quelle operazioni si trasformarono in un incubo per l’esercito israeliano. La mia preoccupazione è che Hamas, sponsorizzato e armato dall’Iran, si sta convincendo di essere come Hezbollah e di essere in grado di sfidare Israele.
E quindi?
Quello che accadrà sarà un inutile massacro, perché gli israeliani non si tireranno certo indietro. Non vorrei che si ripetesse la stessa tragedia del 2006, perché da un lato abbiamo la follia dei dirigenti di Hamas, che usano i cittadini come scudi umani e provocano Israele con missili sempre più potenti. Ma dall’altra abbiamo Israele, uno Stato democratico e libero, che dovrebbe comportarsi in un altro modo. Gran parte dell’opinione pubblica israeliana lo percepisce, anche se poi i risultati delle elezioni, per la complessità della politica israeliana, potrebbero premiare chi ha questi atteggiamenti.
Lei quindi non condivide la politica di Netanyahu?
Io mi considero un uomo di destra, come il premier Benjamin Netanyahu, ma mi considero anche un uomo prudente e ritengo che questo comportamento di Israele non possa avvicinare la soluzione del problema. Bisogna cambiare gli schemi, perché così facendo non si va da nessuna parte e lo dimostrano gli ultimi 64 anni di storia dello Stato di Israele, perché è dal 1948 che non si esce da questa spirale.
Come si spiega questo atteggiamento da parte di Israele?
Israele è uno Stato frammentato dal punto di vista politico, ma molto particolare dal punto di vista del suo rapporto con la percezione del pericolo che si corre per le aggressioni esterne. Ciò diventa ancora più pregnante se si studia la storia personale e familiare del premier Netanyahu, che incarna l’idea che il popolo ebraico si sia dovuto rifugiare nella terra che Dio gli aveva dato, perché altrove si trova sempre sotto pressione.
Anche in questo caso Israele è stato aggredito per prima…
Da un lato c’è l’atteggiamento terroristico di Hamas e dall’altra uno Stato democratico e occidentale come Israele, in grado però nell’arco di sei ore di provocare 38 vittime tra terroristi, capi terroristi e persone innocenti. Non ci sono dubbi sul fatto che Israele sia la vittima, in quanto è stato aggredito per primo da alcuni terroristi. E’ difficile però capire se quanto sta compiendo sia punire i responsabili di un crimine, o semplicemente vendicarsi di un torto.
Per Israele sono azioni di deterrenza.
Noi italiani, che siamo un popolo di cultura cristiana, sappiamo bene che quando la deterrenza si confonde con la vendetta smette di esercitare il suo ruolo. Non riesco quindi a comprendere la politica di Israele. Comprendo gli omicidi mirati dei terroristi, che sono operazioni preventive dure e tristi, ma forse necessarie. Altro discorso è il disequilibrio che Israele attua scientemente nelle sue reazioni, che incominciano in modo legittimo, ma finiscono sempre per fare il gioco non solo dei capi di Hamas, ma del terrore islamico internazionale. In questo modo chi si sente aggredito è la popolazione di Gaza, che continuerà ad appoggiare sempre più Hamas e quindi a fornire truppe a basso costo per chi vuole alimentare il terrore.
Come valuta invece la posizione dell’Italia?
L’Italia in questo momento non è nelle condizioni di dire alcunché. Sia per la sua debolezza intrinseca nella regione, sia per l’oggettiva debolezza del nostro ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata. Gli ambasciatori italiani sono molto bravi, ma la politica estera non la fanno loro. Tanto è vero che il ministro Terzi non è neanche stato in grado di evitare che due nostri militari in servizio fossero catturati dallo Stato indiano. Pensi quindi quando ciò di cui si tratta è un problema storico e secolare, esacerbato negli ultimi 60 anni, i cui veri protagonisti sono Israele, l’Egitto, gli Stati Uniti e le grandi potenze arabe.
Che cosa dovrebbe fare l’Italia per essere più incisiva in Medio Oriente?
Il ruolo degli italiani in passato è stato legato alla capacità di essere amici di Israele, e come i veri amici anche nelle condizioni di dire quando le cose non andavano bene, rimanendo nello stesso tempo anche amici degli arabi. I governi Andreotti e Craxi sono stati capaci di dire qualccosa, poi in assenza di politici in grado di continuare su questa linea abbiamo cercato di rimanere protagonisti. La nostra missione Unifil in Libano ha portato a dei successi di apparenza, ma non ha incrementato il nostro ruolo in Medio Oriente.
(Pietro Vernizzi)