Barack Obama, raggiunto telefonicamente dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, “ha riaffermato il suo sostegno per il diritto di Israele all’autodifesa e ha espresso rammarico per la perdita di vite di civili israeliani e palestinesi”. A renderlo noto è un comunicato della Casa Bianca, in cui è stato rivelato il colloquio tra i due riguardo il conflitto in corso a Gaza. Mentre Netanyahu ha voluto esprimere al presidente americano l’apprezzamento israeliano per il contributo statunitense al sistema difensivo Iron Dome che “ha salvato innumerevoli vite”, il comunicato fa sapere che nel corso della telefonata si è anche parlato di “alcune opzioni per fermare l’escalation”, ma senza specificare quali. E’ il New York Times a riportare che la situazione di Gaza starebbe preoccupando non poco l’amministrazione Obama che teme che “un’incursione via terra di Israele possa danneggiare la stessa Israele e aiutare Hamas”. Per questo il presidente starebbe adesso facendo pressioni sul governo Netanyahu per impedirla. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Gianni De Michelis, ministro degli Esteri dal 1989 al 1992.
Come giudica lo scambio di battute tra Obama e Netanyahu?
Il conflitto in corso rende tutto più complicato all’amministrazione Obama e non c’è il minimo dubbio che in qualche modo Netanyahu, il quale andrà alle elezioni a gennaio, abbia approfittato di tutta questa vicenda. Sia Hamas che Netanyahu, infatti, finiscono per lavorare allo stesso obiettivo, creando una situazione che renda difficile, se non impossibile, il compromesso che probabilmente Obama vorrebbe raggiungere nella regione.
In che modo l’America potrà intervenire in queste ostilità?
Gli Stati Uniti sono bloccati perché non possono non riconoscere il diritto all’autodifesa ad Israele. Credo che la prima mossa sia stata fatta soprattutto da Netanyahu, ma nonostante questo i militanti di Hamas hanno reagito in manera assolutamente inusitata nel colpire con missili Gerusalememe e Tel Aviv. E’ per questo che chiaramente adesso l’amministrazione Obama non può non riconoscere il diritto all’autodifesa ad Israele.
Possiamo comunque aspettarci una pressione americana di qualche tipo?
Certo, sarà importante osservare le diverse reazioni alla pressione che gli americani faranno sicuramente nelle prossime ore rispetto all’Egitto, alla Turchia e al Qatar. Il rischio, però, è che tali sforzi potrebbero anche non sortire alcun effetto.
Cosa dovrebbe accadere per far cambiare atteggiamento a Obama?
Probabilmente niente. Non credo che l’America possa intervenire in modo diverso da quanto sta facendo attualmente ed è proprio per questo motivo che si trova in grande difficoltà: da una parte non può intervenire, meno che mai militarmente, rispetto a Isreale, mentre dall’altra bisognerà vedere quanto influirà una eventuale pressione sull’esercito egiziano.
Crede che avrà degli effetti?
Difficile a dirsi, ma sembra che il nuovo capo dei servizi egiziano sia stato nominato dai Fratelli musulmani, quindi è ovvio che i tempi del vecchio Suleiman siano ormai molto lontani (Omar Suleiman, storico capo dei servizi segreti egiziani, è morto pochi mesi fa all’età di 77 anni, ndr).
Quali crede siano in questo momento le maggiori preoccupazioni di Obama?
Naturalmente che l’intera situazione possa scappargli di mano e che la sua strategia, legata alla creazione di condizioni per porre un freno alla situazione in tutto il Medio Oriente, si riveli di fatto inefficace o che in qualche modo venga resa inattuabile.
(Claudio Perlini)