Sembrava che fosse stata siglata una tregua, ma ieri sera Israele ha intensificato gli attacchi aerei contro la Striscia di Gaza, facendo salire a 127 le vittime palestinesi in ritorsione ai cinque israeliani uccisi. Una contabilità che potrebbe ancora aumentare, se si pensa che secondo alcune indiscrezioni riportate sui social network e citate anche dal Corriere della Sera, i carri armati dello Stato d’Israele starebbero già facendo il loro ingresso nelle località al confine con Gaza. Per Guido Olimpio, inviato ed esperto di terrorismo del Corriere, “non soltanto tra israeliani e palestinesi, ma in tutto il Medio Oriente è radicata la convinzione che solo la forza e la violenza paghino, e che valga la pena affrontare perdite umane spaventose pur di sopraffare l’avversario. Lo scontro tra Israele e Hamas nasce dalla volontà delle due parti in causa di cercare una scorciatoia rispetto alla strada molto più lenta e difficile della trattativa, che comporta inevitabilmente anche sforzi e rinunce”.
Olimpio, per quale motivo la tregua, annunciata ieri sera, è stata subito rimessa in discussione?
Israele chiede che prima di arrivare a un accordo vero e definitivo, ci siano 24 ore di calma. Vogliono evitare che ci siano lanci di razzi e provocazioni, e che quindi si sottoscriva una tregua che poi salti come è già capitato in passato. Il problema è che mentre Hamas è molto disciplinata e può mantenere la calma, impedendo che le sue unità sparino, non può fare la stessa cosa nel contenere i gruppi jihadisti più piccoli, che potrebbero violare l’accordo, in quanto per loro non c’è alcuna possibilità di trattativa, di tregua o di contatto con il nemico.
Perché allora le autorità di Hamas non arrestano i jihadisti?
Prima di questa crisi ci sono state tensioni fortissime, e Hamas è intervenuta in modo molto deciso contro i jihadisti. I palestinesi nella Striscia di Gaza stanno cercando di evitare una guerra intestina, ma se questi gruppi mettono in pericolo l’autorità di Hamas soprattutto in una fase come questa, non c’è dubbio che il partito di governo potrebbe agire e andare allo scontro. I jihadisti stanno però lanciando dei razzi rudimentali, e per loro non è complicato colpire e nascondersi.
E quindi?
Bastano due persone per riaprire lo scontro tra gaza e Israele: assicurare la completa tranquillità non è quindi una cosa affatto semplice. D’altra parte anche Israele ha ragione a richiedere garanzie, in quanto durante la seconda Intifada c’erano diverse situazioni in cui si invocava una tregua che poi sul terreno non era affatto rispettata.
Ritiene che anche Israele dovrebbe esercitare un maggiore autocontrollo?
In una zona molto densamente abitata come Gaza, anche se tiri un sasso puoi rischiare di fare vittime. In alcuni casi Israele dovrebbe limitare la risposta, ma in un mondo e in un’area come il Medio Oriente nessuno vuole limitarsi. Spesso lo scontro è molto violento e a prevalere non è la ragione, bensì i sentimenti e gli istinti, e fatalmente si producono quindi i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Quali alternative esistono a una tregua?
Alternative non ce ne sono, ma stiamo parlando di una tregua e non di un accordo di pace. Si fa una tregua, la situazione si cristallizza per un certo periodo di tempo e Hamas ne approfitterà per riempire di nuovo i suoi depositi di missili a lungo raggio, in quanti ne ha persi molti. Una volta che avrà rinnovato le scorte si arriverà al prossimo scontro, sempre che non si riesca a trovare una qualche forma di convivenza o di coesistenza. Anche una provvisoria stabilità del resto è sempre molto rischiosa, e quindi in qualsiasi momento potremmo trovarci in situazioni difficilissime, sull’orlo di un’altra guerra e di un vero e proprio intervento terrestre.
Perché secondo lei in Medio Oriente le armi prevalgono così spesso sulla ricerca di una soluzione politica?
Perché non solo tra israeliani e palestinesi, ma nell’intera regione si ritiene che la violenza e la forza paghino. Ci vuole molto più coraggio a fare la pace che non la guerra. Il conflitto in fondo è la soluzione più spicciola, breve e rapida, una scorciatoia insomma. La pace e la trattativa richiedono sforzi e rinunce, mentre con la guerra non si rinuncia a nulla. I popoli del Medio Oriente sono ancora pronti e disposti a soffrire, combattere e nascondersi nei rifugi, anche se questo comporta dolore e perdite umane spaventose, oltre all’impossibilità per tutti di vivere una vita normale. Si passa quindi alle armi, come purtroppo abbiamo già visto fin troppe volte.
(Pietro Vernizzi)