Israele e Hamas hanno raggiunto un “accordo per il cessate il fuoco e il ripristino della calma a partire dalle 21 ora locale di oggi”, le 20 in Italia. Ad annunciarlo è il ministro degli Esteri egiziano, Mohamed Kamel Amr, nel corso di una conferenza stampa tenuta al Cairo insieme a Hillary Clinton. “Gli Stati Uniti – ha detto il segretario di Stato Usa – salutano l’accordo di oggi per il cessate il fuoco a Gaza che impone che i lanci di missili debbano finire e che in generale deve ritornare la calma”. Questo, ha poi aggiunto, “è un momento critico per la regione, il nuovo governo egiziano si sta assumendo la responsabilità e la leadership che per molto tempo ha fatto di questo paese una pietra miliare per la stabilità e la pace”. Intanto il numero due dell’Ufficio politico di Hamas, Musa Abu Marzuq, in un’intervista rilasciata alla tv satellitare al-Arabiya ha annunciato che “l’Egitto garantirà il rispetto dell’accordo”, confermando che “tutte le fazioni sono per la calma”. IlSussidiario.net fa il punto della situazione insieme a Luigi Geninazzi, giornalista ed esperto di Medio Oriente.
Cosa pensa della tregua annunciata?
Ogni dettaglio sarà più chiaro nelle prossime ore, ma è ovvio che una tregua è da giudicare in tutti i casi in modo positivo. Un accordo, più o meno, è stato finalmente raggiunto, ma rimane il fatto che i problemi fondamentali e drammatici di questa regione, in particolare di Gaza, sono sempre gli stessi. Il mondo si accorge solo ora che Gaza è una prigione a cielo aperto ma questa situazione va avanti da almeno cinque anni, cioè da quando Hamas ha preso il potere nella Striscia.
Come mai allora ci si concentra solo adesso?
Probabilmente per un calcolo cinico e politico di entrambe le parti: da un lato il premier israeliano Netanyahu, in vista delle elezioni di gennaio, raccoglie i consensi della nazione che rivendica il suo giusto diritto alla difesa. Dall’altro, invece, Hamas ha capito di non essere più debole come una volta e di avere il sostegno non solo dei Fratelli Musulmani, ma anche del Qatar e di altri Paesi arabi. Insomma, la guerra è scoppiata per questi motivi ed è un bene se finirà con una tregua, ma il problema è che potrà sempre riesplodere da un momento all’altro proprio perché permangono i soliti problemi, a cui nessuno sembra voler davvero porre rimedio.
Quali sono i maggiori problemi di cui parla?
Dovremmo uscire dalla logica delle fazioni che inevitabilmente in questi casi si vengono a creare e guardare in faccia i veri problemi. Da un lato c’è Israele, un Paese che dovrebbe capire che non è solo con la violenza che si può assicurare la tranquillità: se si viene colpiti da un razzo, non si può rispondere bombardando un luogo come Gaza che ha la più alta densità abitativa del mondo, più di Manhattan. Collegato a questo, c’è poi l’altro problema di fondo.
Quale?
La presenza di un milione e mezzo di palestinesi a Gaza. E’ quanto mai necessario che l’Occidente richieda la fine dell’embargo e, quindi, della chiusura di questo carcere a cielo aperto per far uscire la gente. Aprire i confini di Gaza è complicato e rappresenta una sfida estremamente coraggiosa, ma credo che sia l’unico modo per far capire ai palestinesi di Gaza che esiste una possibilità di dialogo con Israele, altrimenti ci ritroveremo sempre allo stesso punto.
E’ l’Egitto ad essere il capo-negoziatore di questo episodio bellico?
Senza dubbio l’Egitto è stato il grande protagonista di questo negoziato. Il fatto che poche ore fa il presidente Morsi si sia presentato al Cairo insieme al segretario di Stato americano Hillary Clinton rappresenta il successo della sua diplomazia. Al di là del fatto che la tregua tenga o meno, dobbiamo riconoscere che l’Egitto ha preso decisamente in mano le fila della trattativa diplomatica, accreditandosi adesso come un Paese che gode anche del rispetto degli Stati Uniti e facendo accrescere il proprio prestigio tra i Paesi arabi.
Il Fondo monetario ha deciso di concedere all’Egitto un prestito di 4,8 miliardi di dollari per ridare vita all’economia. Non le sembra una particolare coincidenza questo intervento occidentale proprio quando Mohamed Morsi sta tenendo le redini di una via d’uscita dalla crisi di Gaza?
Certe coincidenze hanno anche uno scopo di creare una messinscena, ma direi piuttosto che l’Egitto, dal punto di vista dell’ordine sociale e da quello economico, se la passa davvero male. I Fratelli Musulmani, i quali cercano di barcamenarsi tra la loro situazione e l’Occidente, in questo caso sono riusciti a portare a casa qualcosa. Nonostante questa ambiguità, quindi, il governo egiziano è riuscito ad approfittare di questa occasione per uscire alla grande sulla scena internazionale.
(Claudio Perlini)