Giovedi è Thanksgiving. Il quarto giovedi di ogni novembre, dal 3 ottobre 1863, da quando Abraham Lincoln, 16mo presidente degli Stati Uniti, firmò una bella “Proclamation” istituzionalizzando quanto già avveniva in date diverse in alcuni Stati del nord est. Una vecchia signora, tale Sarah Josepha Hale, convinse il presidente con una lettera. La signora Hale ci stava provando da una quindicina d’anni, ma i predecessori di Lincoln l’avevano sempre ignorata. Come sempre in questi casi non possiamo sapere cosa Lincoln avesse veramente in mente quando decise di fare questo passo. Lincoln fu un grande presidente, ma anche un personaggio enigmatico, e probabilmente neanche il nuovo film di Spielberg riuscirà a far completamente luce sul suo cuore e sulla sua mente.
Immagino che gli europei abbiano comunque tutti una mezza idea – mezza e vaga, suppongo – di cosa Thanksgiving sia: il tacchino, la fine della stagione del raccolto, il primo inverno dei Padri Pellegrini, ecc. Prima che anche in Europa si prenda a celebrare il “turkey day” senza sapere cosa sia (come sta già accadendo con Halloween), è cosa buona e giusta considerare alcuni fatti. La testa di Lincoln non la possiamo decodificare, ma i fatti li possiamo osservare.
Il primo è che a tutt’oggi Thanksgiving è la più grande festa d’America. Si viaggia da un capo all’altro del paese perchè le famiglie si possano riunire. Se c’è un momento dell’anno in cui gli Americani sentono di doversi inchinare alle loro radici, ritrovarsi con il sangue del loro sangue, questo è Thanksgiving. È una vera festa, come lo è (era?) il Natale nell’Europa cristiana. Ed è una vera festa perché non si ringrazia il tacchino, si ringrazia il Creatore. Oggi, in un paese popolato di centinaia di etnie arrivate fin qui attraverso i pochi secoli di storia che abbiamo, “il Creatore” risponde a tanti nomi diversi. Tutti festeggiano perché hanno un Dio da ringraziare. Ma nel 1863 le cose non stavano proprio cosi.
E qui vien fuori il secondo fatto. Thanksgiving è alla radice una festa cristiana. Perchè quelli che sentirono il bisogno di esprimere gratitudine verso “dio” (per il raccolto, per il tacchino, in preparazione all’inverno) conoscevano solo un Padre, un solo Padre Eterno. Cosi anche la vecchia Signora Hale che si accollò come vocazione quella di porre la pietra angolare di questa gratitudine a fondamento dell’operare di tutti. Ed anche l’Abraham Lincoln che abbracciò e fece sua la proposta della Hale era della stessa pasta. Cristiani, “protestanti” finché volete, ma cristiani.
Ora il terzo fatto, quello che, quando lo scoprii, mi lasciò a bocca aperta. Guardate un attimo alla data della “Proclamation” di Lincoln. Ottobre 1863. Lo sapete come stava l’America nel 1863? Stava nel mezzo di una sanguinosa, crudele e fratricida guerra civile, con Lincoln impegnato a combattere sia sul fronte interno (i radicali repubblicani che chiedevano a gran voce l’abolizione immediata, totale ed incondizionata della schiavitù) che su quello esterno del fronte militare (le grandi battaglie che diedero una svolta irreversibile al conflitto, Vicksburg, Gettysburg).
È proprio nel mezzo di questa baraonda esistenziale che il Presidente si ferma e scrive: “Quest’anno che si avvia a concludersi è stato benedetto dagli abbondanti frutti dei campi …”. E Lincoln prosegue, “A tutta questa abbondanza di frutti, di cui beneficiamo costantemente, tanto da dimenticarci di dove venga, altri doni si sono aggiunti, di natura cosi straordinaria da penetrare ed intenerire persino i cuori solitamente insensibili alla provvidenza sempre vigile di Dio Onnipotente” …
Ci sono cose, le più grandi, che non facciamo noi. Ci sono cose, le più grandi, di cui non si può che essere grati. Proprio nell’ora più oscura e dolorosa della storia del Paese, questo strano uomo, invece di affossarsi, alza lo sguardo e rilancia. “E mentre ringraziamo …vi chiedo di affidare al Suo tenero amore tutti coloro che sono diventati vedove, orfani, colpiti dal lutto o dalle sofferenze in questa deplorevole lotta civile in cui siamo inevitabilmente coinvolti, e di implorare con fervore l’intercessione dell’Onnipotente perché guarisca le ferite della nazione, e la riporti, secondo i tempi del suo Divino scopo, al pieno godimento di pace, armonia, serenità ed unione”.
Questo è Thanksgiving. Nella buona sorte come nei momenti di dura crisi si può ripartire solo con la coscienza che tutto ci è dato.