La tregua tra Israele e Hamas sembra resistere dopo i bombardamenti durati otto giorni consecutivi. Nelle trattative per il raggiungimento del cessate il fuoco l’Egitto ha giocato un ruolo cruciale, tanto che ad annunciare la cessazione delle ostilità è stata una conferenza congiunta del ministro degli Esteri del Cairo, Mohammed Kamel Amr, e del Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. Ilsussidiario.net ha intervistato la giornalista Shahira Amin, uno dei commentatori televisivi più noti in Egitto, nonché ex vicedirettore della rete di Stato “Nile Tv”.
Amin, che cosa ne pensa del fatto che un governo guidato dai Fratelli musulmani sia riuscito a convincere alla tregua tanto Israele quanto Hamas?
La tregua raggiunta tra Hamas e Israele è una vittoria per l’intero mondo arabo. L’opinione pubblica era scettica perché, conoscendo la retorica anti-israeliana dei Fratelli musulmani, era convinzione comune che la prima cosa che avrebbero fatto sarebbe stato incitare le persone a prendere le armi. Si temeva che il rais non avrebbe sprecato un’occasione così ghiotta per strumentalizzare i palestinesi e spingerli a colpire lo Stato ebraico.
Per quale motivo le cose sono andate in modo diverso dal previsto?
Il nostro presidente della Repubblica, Mohamed Morsi, al contrario ha preferito un approccio diplomatico e si è dimostrato molto pragmatico e proattivo. La sua prima mossa è stata richiamare l’ambasciatore egiziano da Israele, ma non ha minacciato di rompere del tutto i legami tra i due Paesi. Lo Stato ebraico del resto non ha né il desiderio né le risorse per fare la guerra, e questo ha agevolato il compito di Morsi. L’Egitto si è messo al centro degli sforzi di mediazione, confrontandosi con la comunità internazionale, con i leader di Qatar e Turchia e con lo stesso Khaled Meshaal, capo di Hamas in esilio, nonché con i vertici del Movimento per la Jihad Islamica in Palestina.
Perché dall’inizio della crisi l’Egitto ha riaperto il valico di Rafah al confine con Gaza?
Per consentire ai palestinesi feriti di venire al Cairo e ricevere cure mediche, oltre che nello stesso tempo per consentire che l’assistenza umanitaria si recasse a Gaza. Il nostro governo però non ha fornito alcun supporto militare ad Hamas. Ritengo quindi che il presidente Morsi sia stato molto abile nei suoi sforzi per contenere la crisi, riuscendo a soddisfare le richieste tanto di Hamas quanto degli israeliani e giocando al meglio la sua influenza sul partito di Khaled Meshaal.
La tregua è solo un merito di Morsi, o anche del fatto che l’Egitto democratico oggi è in grado di porsi come un nuovo protagonista in Medio Oriente?
L’Egitto, che in passato ha avuto un ruolo molto importante, con la crisi di Gaza ha recuperato la sua centralità regionale. Ai tempi di Mubarak la sua posizione era troppo allineata agli Stati Uniti e a Israele, mentre Morsi non è allineato con nessuna superpotenza, ma sta facendo soltanto quanto è bene per gli interessi del Paese. Interrompendo l’assedio di Gaza e permettendo agli aiuti umanitari di entrarvi, rende più sicuro anche lo stesso Sinai, cioè della parte più orientale dell’Egitto.
In che senso?
Il timore è che i palestinesi vogliano insediarsi nella penisola al confine con la Striscia di Gaza, ma si tratta di voci diffuse ad arte dai sostenitori di Mubarak ancora presenti nel Paese.
In passato i Fratelli musulmani si sono scagliati contro l’Occidente, ma è di questi giorni la notizia che hanno accettato aiuti da 4,8 miliardi di dollari dall’Fmi. Ritiene che Morsi si sia venduto al suo “nemico”?
No. Prima di vincere le elezioni presidenziali, i Fratelli musulmani avevano dichiarato che l’Egitto è uno Stato benestante e che non ha bisogno di prestiti esteri. Quando però hanno preso in mano il governo, hanno dovuto fare delle concessioni. Il declino economico in Egitto è del resto molto forte, a causa delle precarie condizioni di sicurezza. Investitori e turisti sembra abbiano voltato le spalle al Paese e questo sta provocando dei gravi problemi per l’intera nazione.
E’ una situazione davvero preoccupante, se si pensa che la crescita del Pil egiziano è scesa dal 5,1% del 2010 all’1,5% del 2012 …
Proprio per questo abbiamo bisogno del prestito dell’Fmi, che tra l’altro ci è stato concesso in cambio del rispetto di tre condizioni: l’abolizione dei sussidi per l’acquisto di pane e carburante, la riforma fiscale e la svalutazione della sterlina egiziana. Si tratta di un accordo che nel breve termine sarà molto gravoso per le classi meno benestanti, ma nel lungo termine la nostra economia si rimetterà in carreggiata e riprenderà la marcia nella giusta direzione.
(Pietro Vernizzi)