Che la rielezione di Obama a presidente degli Stati Uniti non abbia infiammato gli animi di molti Americani è un fatto certo. Che abbia aperto un aspro dibattito all’interno del GOP, il Grand Old Party repubblicano su “ma come abbiamo fatto a perdere” anche. C’è però chi si è spinto oltre. Un tale che si identifica come Micah H. di Arlington ha posto sul sito della Casa Bianca (petitions.whitehouse.gov) una petizione per la secessione del Texas. Presentare una petizione non è difficile. Seguendo la falsariga della piattaforma di “We the People” (parole di apertura della Costituzione degli Stati Uniti), chiunque può farlo. Qualora poi la petizione raggiunga venticinquemila firme nell’arco di 30 giorni, la Casa Bianca dovrà necessariamente rispondere qualcosa. Mr. Micah H. ha redatto e postato la sua in data 9 Novembre. Venerdì scorso aveva già raggiunto 116,000 firme… La Casa Bianca dovrà rispondere.



Il Texas è grande e popoloso (secondo all’Alaska come territorio e alla California come popolazione), decisamente repubblicano (Romney ha stravinto con quasi un milione e mezzo di voti in più rispetto ad Obama), e anche estremamente orgoglioso della propria storia e tradizione. Prima di essere parte degli Stati Uniti, il Texas lottò per la propria indipendenza – e la ottenne – cacciando i Messicani di Santa Anna. Dalla epica battaglia di Fort Alamo (con tanto di David Crockett) alle gesta di Sam Houston, i Texani costituirono il loro stato nel 1836 per poi unirsi agli altri nel 1845.



Spagnoli, Francesi, Messicani… Il Texas li ha fatti fuori tutti. “Don’t mess around with Texas”, non scherzare con il Texas, come dice il motto di questa terra. Immagino che il Texas non farà fuori l’Amministrazione Obama, né ricorrerà alle armi per affermare la propria alterità rispetto a Washington. Così come non lo faranno Alabama, Colorado, Florida, Oklahoma, Louisiana, dove le petizioni presentate non hanno (al momento) trovato altrettanti sostenitori. Tuttavia il messaggio che emerge da questa turbolenza è molto chiaro e forte: l’America sta cominciando a sperimentare una polarizzazione che non si vedeva dai tempi della guerra civile, una frattura “ideologica” in un paese dove – probabilmente come prima e immediata conseguenza della sanguinosa secessione del 1861 – l’ideologia è sempre stata contenuta e combattuta come una malattia infettiva capace di guastare i rapporti civili. Mi ero abituato a vedere il paese unito dietro al proprio Presidente.



Magari il mio voto era andato all’altro candidato, ma una volta eletto, il Presidente è il Presidente di tutti, quindi anche il mio. Ed io, che voglio il bene mio e del mio paese non starò certo ad augurarmi che il nuovo eletto “faccia male” così che io possa avere la mia rivincita. Ebbene, obiettivamente bisogna riconoscere che con Obama, in particolare con Obama 2, le cose stanno cambiando. Queste petizioni di indipendenza indicano un disagio, un non identificarsi con la guida del paese. Ci sono molte cose che hanno contribuito a questa radicalizzazione e Obama ha le sue gravi responsabilità in merito. Tutto l’establishment democratico ha le sue gravi responsabilità per aver portato il confronto al livello ideologico. E i repubblicani ne hanno per aver dapprima subito e in seguito accettato questo terreno di battaglia, mostrando una miseria culturale e progettuale che hanno finito per condannarli alla sconfitta elettorale. In Texas queste cose non sembrano interessare molto. Centosedicimila sembrano dirci che qualcosa sta andando storto e che, a loro, a questo livello, gli Stati Uniti non interessano. “Don’t mess around with Texas”.