Come ci si aspettava, il partito autonomista che di fatto governa la Catalogna fin dalla caduta del franchismo, conducendola negli anni verso l’ambizioso obiettivo di una sempre più ampia autonomia, non ha vinto queste ultime elezioni e ha fatto addirittura qualche passo indietro. Artur Mas ha ottenuto una maggioranza poco convincente del parlamento regionale, una maggioranza che non si schiera a favore dell’indipendenza in modo così netto come si poteva pensare alla vigilia.
A tal proposito, analizzando in modo più ampio questo particolare aspetto della Catalogna, è necessario fare una doverosa riflessione: chi in Italia vede nella riduzione dei componenti dei consigli regionali il modo ideale per abbattere i costi della politica dovrebbe prima osservare la situazione catalana. Qui il parlamento regionale è composto da 135 deputati, i quali ricevono una retribuzione mensile di circa 4mila euro al mese: questo significa che il totale è decisamente più basso, per esempio, di quello del consiglio regionale della Lombardia che attualmente, prima dell’eventuale riforma, ne ha 80. Il risparmio sui costi della politica, quindi, non passa attraverso la drastica riduzione del numero dei consiglieri regionali, anche se nel nostro Paese questo intervento viene chiaramente proposto come il perfetto antidoto alla cattiva politica.
Tornando alla situazione catalana, la Ciu, che unisce Convergenza democratica di Catalogna e Unione democratica di Catalogna, ha ottenuto il 30,7% delle preferenze e la conseguente attribuzione di 50 seggi su 135, un dato che effettivamente conferma quanto qualche deputato sia stato perso per strada rispetto al passato.
E’ però necessario aggiungere che, in questa perdita, il partito ha per la prima volta parlato apertamente di indipendenza. In fondo era alquanto scontato che la coalizione venutasi a creare avrebbe perso qualche consenso, in particolare tra gli industriali catalani che, un po’ come la Confindustria italiana, sono maggiormente legati a una visione di globalizzazione.
A prescindere da questo, però, altri partiti che sono da sempre indipendentisti hanno ottenuto un ottimo riscontro, a dimostrazione del fatto che, anche se non coalizzati al meglio, gli schieramenti in favore dell’autonomia catalana possiedono oggi la maggioranza assoluta dei deputati del parlamento regionale.
A cosa porterà tutto questo? Con ogni probabilità nel 2014 si arriverà a un referendum attraverso cui verrà chiarito se la Catalogna dovrà proseguire su questa strada oppure no. In questa decisione influirà molto la futura posizione di questo partito centrista autonomista: se si alleerà con la sinistra indipendentista, senza dubbio la Catalogna diventerà autonoma.
Se invece, al contrario, deciderà di avanzare insieme alla destra nazionalista e al partito popolare, dovrà inevitabilmente segnare una battuta d’arresto. Certo, potrà ottenere interessanti compromessi, ma sostanzialmente l’attuale situazione rimarrà immutata.
In conclusione, di fronte alla insistente richiesta d’indipendenza della Catalogna, spesso ci si chiede come possa l’Europa continuare ad affrontare la sfida della globalizzazione andando avanti con Paesi talmente piccoli. Ecco, a mio giudizio la questione è assolutamente fuorviante perché i catalani, a loro modo, si sono dimostrati europeisti e quella che può sembrare solo una piccola regione spagnola in realtà è davvero qualcosa di più. Probabilmente gli stati nazionali ottocenteschi, di fronte all’integrazione europea e alla globalizzazione, hanno perduto gran parte della loro ragion d’essere: credo sia quindi nel senso stesso della storia che le tante nazionalità europee prima o poi debbano ritrovare la propria identità ed è proprio per questo che ritengo che l’indipendenza catalana potrà anche essere ritardata, ma probabilmente non fermata.