Con 138 voti a favore (tra cui quello dell’Italia), 9 voti contrari (tra cui quello degli Stati Uniti) e 41 astenuti l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato il passaggio della rappresentanza palestinese nell’organizzazione al rango di “Stato osservatore non-membro”, lo stesso che viene riconosciuto – e sin qui era un caso unico – alla Città del Vaticano. 



La rappresentanza palestinese sedeva già da decenni col rango di osservatore in tale Assemblea, ma a nome non dell’Autorità palestinese bensì dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). La differenza è sottile, ma non priva di rilevanti conseguenze pratiche; e soprattutto ha comunque un grande peso politico per il significato che le era stato attribuito dal presidente dell’Autorità, Abu Mazen, e da come viene e verrà vissuta dalle masse palestinesi. 



Abu Mazen l’aveva chiesta come un “certificato di nascita” dello Stato palestinese, e così si è subito cominciato a celebrarlo in Palestina e nella diaspora palestinese. Cosa che sarebbe stata impensabile fino a pochi anni fa, oggi chiunque in ogni angolo della terra può seguire in diretta i lavori dell’Assemblea dell’Onu tramite computer e simili grazie alla web tv delle Nazioni Unite. Chi lo ha fatto ieri sera non può che esser rimasto impressionato non solo dal numero dei consensi raccolti sulla proposta, ma anche dalla consistenza e spesso pure dalla veemenza delle dichiarazioni di voto a favore. Al di là di ogni altra considerazione, Israele farebbe bene a riflettere sul fatto che vincere la guerra infine conta poco se poi non si riesce mai a… vincere la pace. L’attuale premier israeliano, Benjamin Netanyahu, a poche ore dal voto era tornato a ribadire con forza che la decisione dell’Assemblea delle Nazioni Unite “non avvicinerà la costituzione di uno Stato della Palestina ma anzi l’allontanerà”. E aveva aggiunto che il voto all’Onu di fatto non avrebbe cambiato nulla poiché “non sarà costituito uno Stato palestinese senza il riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico, senza la proclamazione della fine del conflitto e senza misure di sicurezza reali che difendano lo Stato di Israele e i suoi abitanti”. 



In realtà i fatti hanno invece confermato ancora una volta che una politica estera principalmente basata sull’uso della forza militare, come è quella di Israele, a lungo termine è perdente anche quanto a breve termine è vincente. Ciò tanto più peserà adesso che in forza del suo nuovo rango l’Autorità palestinese potrà accedere a molte istituzioni internazionali che finora le erano precluse. 

In primo luogo la Corte penale internazionale, davanti alla quale i palestinesi potrebbero decidere di portare Israele per denunciare la questione dei Territori occupati. Questo è uno dei timori più grandi degli israeliani e di molti altri Paesi, anche se i vertici dell’Autorità palestinese hanno assicurato che non compiranno tale passo automaticamente: dipenderà dalla politica che Israele deciderà di portare avanti sul fronte degli insediamenti. 

A conferma di quel limite di fondo della politica estera israeliana di cui si diceva è l’evidente legame tra i recenti fatti di Gaza e questa vittoria diplomatica palestinese. L’esito di tale vicenda aveva così indebolito Abu Mazen che agli occhi della maggioranza degli Stati membri dell’Onu è parso urgente rafforzarlo sia sul fronte interno che nei confronti di Hamas. Abu Mazen, che dopo la recente crisi di Gaza era scomparso dalla scena della politica palestinese, ci ritorna così da protagonista, potendo tra l’altro contare sul voto a favore dei Paesi mediterranei dell’Unione Europea tra cui l’Italia (mentre Gran Bretagna, Germania e altri  hanno optato per l’astensione).  

Abu Mazen è un distinto signore, capo però di uno “Stato” evanescente perché eroso tanto dall’esterno, dallo stretto assedio di Israele, quanto dall’interno, da una corruzione dilagante. Chi ha puntato su di lui, come tra gli altri il nostro governo, adesso non può più lavarsene le mani. Deve tirarne tutte le conseguenze, ma questo è il problema. Riusciranno i nostri eroi, che non riescono neanche a riportare a casa i due fucilieri di Marina detenuti nel Kerala, a trovare il bandolo delle ben più complicate matasse mediorientali?